ROSSINI Il barbiere di Siviglia J. Swanson, C. Lepore, M. Kataeva, A. Filończyk, M. Pertusi, P. Biccirè, W. Corrò, A. De Ceccon; Coro del Teatro Ventidio Basso, Orchestra Sinfonica G. Rossini, direttore Lorenzo Passerini regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi regista collaboratore e luci Massimo Gasparon
ROSSINI Il viaggio a Reims V. Berzhanskaya, M. Bakarova, J. Pratt, K. Deshayes, J. Swanson, D. Korchak, M. Mofidian, E. Schrott, N. Alaimo, V. Priante, A. Baliñas, T. Sun, P. Leguizamón, M. Antonie, V. De Amicis, J. J. Morata, N. Donini; Coro del Teatro Ventidio Basso, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, direttore Diego Matheuz
Pesaro, Rossini Opera Festival, 21 e 22 agosto 2024
Forse è stata una coincidenza, forse no: l’ultima recita andata in scena al Palafestival nel 2005, prima della chiusura durata fino a quest’anno (in cui è stato finalmente riaperto con il nuovo nome Auditorium Scavolini) fu quella conclusiva del Barbiere di Siviglia diretto da Gatti con regia di Ronconi e la stessa opera chiude nel 2024, se tutto andrà come annunciato, l’avventura della Vitrifrigo Arena, stavolta con la direzione musicale di Lorenzo Passerini e lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi. Dall’anno prossimo il Festival dovrebbe quindi tornare tutto in centro e chissà che non si riesca anche a recuperare il suggestivo Auditorium Pedrotti, che sarebbe perfetto per ospitare i concerti di canto. Per il momento si saluta quindi lo spazio alla periferia pesarese, che aveva certamente il merito di essere comodo per chi arrivava al Festival in auto ma scontava il peccato mortale di togliere l’afflusso turistico dal centro della città, e lo si fa con la ripresa di questo fortunato allestimento. Rispetto al debutto lo spettacolo conferma la squisita eleganza della sua estetica (che richiama i pueblos blancos andalusi) e l’indiavolato ritmo della sua narrazione, giustamente apprezzatissimo da un pubblico estremamente divertito, anche se in questa ripresa la comicità frenetica dello spettacolo originale è sembrata un po’ meno elegante e, qua e là, più incline alla buffoneria, soprattutto nei tre protagonisti principali. Nel complesso molto interessante la parte musicale. La direzione di Lorenzo Passerini (esecuzione integrale, con tutti i recitativi) sceglie tempi abbastanza serrati ma non rinuncia a sottolineature coloristiche e, nel complesso, tiene bene l’equilibrio tra palco e buca anche nel più frenetico degli assiemi. Nel cast il punto debole è costituito dall’Almaviva di Jack Swanson, che crea in scena un simpatico ragazzone ma che, vocalmente, sembra al momento affidarsi più alle doti di natura (peraltro cospicue per estensione e flessibilità) che alla solidità tecnica. La sua Rosina, Maria Kataeva, ha innanzitutto una gran bella voce ma colpisce anche la sua personalità prorompente e vivace, al pari del frizzante Figaro di Andrzej Filończyk, interprete esuberante e cantante dal timbro incisivo, solo lievemente a disagio nelle agilità del duetto con Rosina. Carlo Lepore firma un ottimo Bartolo e si riconferma eccellente anche il Basilio di Michele Pertusi: è soprattutto per il confronto con il loro senso del comico (che anche nelle gag al confine non la caccola riesce sempre a fermarsi prima di sconfinare nel cattivo gusto) che la comicità dei tre interpreti principali sembra un poco grossier. Bene la Berta di Patrizia Bicciré e bene anche William Corrò, particolarmente impegnato come Fiorello e Uffiziale. Pubblico folto, prodigo di risate e applausi a scena aperta: probabilmente Il barbiere di Siviglia non è solo un’opera comica, come scrive in maniera abbastanza condivisibile Gianfranco Mariotti nel libro di sala, ma presentarla in questo modo è una scelta comunque legittima e giustificata da una lunga tradizione. Una scelta che chi compra il biglietto mostra di apprezzare tributando alla produzione un successo che, alla recita oggetto della recensione, assume quasi i toni del trionfo, con tanto di applausi ritmati.
Il giorno successivo ci si sposta, per la serata conclusiva del Festival, all’Auditorium Scavolini per una speciale esecuzione de Il viaggio a Reims, l’opera rossiniana che si credeva perduta e che, rocambolescamente e con tanto impegno, è stata riscoperta, ricostruita dalla Fondazione Rossini e riallestita proprio a Pesaro nel 1984, diventandone in breve un titolo-simbolo: oltre alle sue annuali riproposte nell’ambito del Festival Giovane l’opera era ritornata nel cartellone principale, dopo il 1984, solo nel 1992 e nel 1999, sempre nello spettacolo di Luca Ronconi. Stavolta si sceglie la forma concertante, che è forse un po’ limitante, vista la teatralità un po’ surreale dell’azione della cantata, ma il pubblico (sia quello in sala che quello presente in Piazza del Popolo, dove la serata era trasmessa in diretta) non sembra dare peso alla cosa e tributa un caldo successo a tutti gli artefici della serata, che chiude degnamente un’edizione del Rof particolarmente impegnativa e ricca. Nel ricco e composito cast hanno brillato in particolare la Corinna di Vasilisa Berzhanskaya e la Folleville di Jessica Pratt: la prima ha affrontato la parte con preparazione inappuntabile e studio evidente, pensando ogni nota nella ricerca di sonorità in grado di spaziare da acuti e sovracuti in pianissimo fino a gravi decisamente contraltili, spesso dando una fisionomia inedita a musica che si credeva di conoscere molto bene, mentre la seconda ha brillato da par suo in un’esecuzione scintillante per ironia e virtuosismo. La Madama Cortese di Karine Deshayes è sembrata un po’ in difficoltà nella tessitura acuta dell’entrata, ma ha dimostrato buona padronanza del sillabato e dei recitativi, al pari di Maria Bakarova (Melibea), che però era parsa più a suo agio come Ernestina de L’equivoco stravagante negli spazi maggiormente raccolti del Teatro Rossini. Passando ai signori della compagnia si loderà innanzitutto il Libenskof di Dmitry Korchak, impetuoso e spavaldo come si conviene, assieme al Belfiore di Jack Swanson, decisamente più a suo agio qui che come Conte d’Almaviva; applausi anche per Erwin Schrott, un Don Profondo di grande comunicativa e dal gusto più misurato di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, Vito Priante, disinvolto Don Alvaro, e Nicola Alaimo, spiritoso Barone di Trombonok, anche se la vera sorpresa della serata è stato il Sydney del basso scozzese Michael Mofidian: linea di canto accurata, precisione dell’emissione evidente, ottima ricerca di un suono sempre bello e pulito, si tratta di un artista di cui si sentirà parlare molto in futuro. Una volta detto di comprimari tutti molto ben scelti (in particolare Martiniana Antonie come Maddalena e Alejandro Baliñas come Don Prudenzio) si dovrà dire anche della direzione di Diego Matheuz, pupillo di Claudio Abbado che, evidentemente, ha avuto l’esecuzione del maestro milanese come modello, in una lettura che, però, non ha saputo evitare qualche pesantezza e un certo gigantismo sonoro, oltre a qualche evitabile taglio (non solo nelle lungaggini delle strofe di Corinna, dove un po’ di forbice può anzi essere auspicabile, ma anche nel coro “L’allegria è un sommo bene”) pur nella sostanziale correttezza di fondo. Del caldo successo finale, con punte di particolare calore per Berzhanskaya e Pratt, si è detto.
Gabriele Cesaretti
Foto: Amati/Bacciardi