BRAHMS Danze ungheresi n. 5 e n. 1 DVOŘÁK Sinfonia n. 9 in Mi minore op. 95, “Dal Nuovo Mondo” RAVEL Boléro Orchestra Filarmonica “G. Verdi” di Salerno, direttore Ezio Bosso
Aperia della Reggia di Caserta, 28 agosto 2019
È sold-out da molti giorni il concerto di apertura della quarta edizione di “Un’Estate da Re”, e non poteva essere altrimenti, visto che il protagonista è una star come Ezio Bosso; e del resto la rassegna estiva che si tiene all’aperto nella Reggia di Caserta, all’interno dell’aperia, un luogo scenograficamente vanvitelliano (vi si allevavano le api che fornivano il miele alla tavola reale), riscoperto e valorizzato da pochi anni. La rassegna quest’anno ha puntato su nomi tutti mediatici, noti anche al pubblico meno aduso alla musica “colta”: oltre a Bosso, infatti, ci saranno David Garrett (violinista classico che vanta stuoli di groupie come una rockstar), Stefano Bollani e Zubin Mehta.
Bosso non ha deluso le attese: è un musicista di talento, ma è soprattutto un grande affabulatore, che tra un brano e l’altro offre ad un pubblico affascinato aforismi e pensieri sulla musica e sul mondo. E bisogna pur dire che riesce a trasmettere alla platea, con accenti di sincera emozione, la sua gioia di vivere e di fare musica, a dispetto delle sue condizioni fisiche visibilmente precarie. Il programma che ha scelto di presentare non è meno accattivante: i brani sono di sicuro interesse per un pubblico ampio, senza tuttavia rinunciare alla qualità e al valore musicale. Si comincia con le Danze ungheresi n. 5 e n. 1 di Johannes Brahms, che sono sempredi gradevole ascolto. Bosso ne ha dato una lettura fresca ed espressiva, senza leziosità, ma conservando il brio, la baldanza della danza popolare insieme alla caratteristica vena malinconica e sentimentale.
A seguire, la Sinfonia n. 9 di Dvořák, l’ultima e la più famosa del compositore boemo, scritta nel 1893, mentre era a New York, ispirata ai canti tradizionali del nuovo continente, fusi con la cultura musicale europea e motivi tradizionali cechi. Bosso sembra molto più a suo agio nei movimenti centrali della sinfonia, in particolare nel secondo (Largo), di cui, nonostante l’esecuzione en plein air, ci offre una lettura inusuale, intima e rarefatta, di taglio quasi cameristico; di conseguenza la drammatica intensità del quarto tempo viene attenuata, mantenuta su un sinfonismo più raccolto e meno fragorosamente abusato.
A chiudere, il Boléro di Maurice Ravel, che è forse l’esecuzione che ha soddisfatto di meno i palati più difficili. Del brano, persa oggi l’aura di scandalosa originalità che ebbe al suo apparire nel 1928, quello che ora colpisce è la fantasia unita all’ossessivo, inebriante schema ritmico; e qui qualcosa si è perso, nella sequenza degli strumenti aggiunti ad ogni ripetizione della melodia, soprattutto nel fraseggio di alcuni legni nella prima parte e nell’accrescimento dello spessore orchestrale nella seconda parte, poco percepito forse proprio a causa della acustica del luogo all’aperto. Al termine del Boléro questo brano, il (prevedibile) entusiasmo del pubblico induce Bosso a concedere il bis della brahmsiana Danza n. 1.
Bosso dirige senza spartito, come è suo solito, e riesce comunque a tenere sotto controllo ogni elemento timbrico e ogni colore orchestrale. Va da sé che alla fine il pubblico si alza in piedi per applaudire e una vera ovazione accompagna il direttore mentre viene spinto in carrozzella verso il camerino, che viene assediato dai fan per i selfie di rito.
Lorenzo Fiorito
Foto: Amedeo Benestante