GALA PRATT-SPYRES soprano Jessica Pratt tenore Michael Spyres; Coro e Orchestra del Teatro Carlo Felice, direttore Andriy Yurkevich
Genova, Teatro Carlo Felice, 18 gennaio 2019
L’eccellente occasione di poter ascoltare due autentiche stelle del firmamento operistico contemporaneo non è stata colta dal pubblico genovese, che non è accorso nella misura sperata al prestigioso gala lirico inserito all’interno della stagione sinfonica del Carlo Felice. Eppure almeno Jessica Pratt è nome ben conosciuto dagli abbonati del Teatro, che nel recente passato hanno potuto apprezzarla in Lucia di Lammermoor e Don Giovanni (come Donna Anna). E ancor più che nelle precedenti occasioni il soprano australiano ha mostrato tutte le sue qualità, compresa quella – molto importante in sede concertistica – di saper assumere immediatamente e persuasivamente la fisionomia psicologica del personaggio che va via via a impersonare, selezionando intelligentemente brani in grado di render giustizia alla sua flessibilità vocale e interpretativa. Spiritosissima nei Couplets di Olympia dai Racconti di Hoffmann, irresistibile nel duetto dalla Sonnambula, in «Ah, non credea mirarti» era impossibile non palpitare assieme a un’Amina dolente, senza ombra di affettazione, capace di tocchi di verità drammatica come un «inaridito sei» appena soffiato: la linea è fluida e cremosa, e una certa disuguaglianza tra i registri che ho riscontrato in passato appare oggi quasi svanita; si nota appena qualche assottigliamento nei pianissimo in zona acuta, mentre fraseggio ed eloquenza espressiva sono indubbiamente maturati. Molto coinvolgente e originale l’interpretazione della grande scena di Violetta: nell’«Andantino» non manca qualche inflessione sensuale («croce e delizia»); a «Follie!» prevale l’amarezza, che diviene quasi autodistruttiva in «Sempre libera», con una ripresa dopo l’intervento di Alfredo sommessa e dolente, mentre la parte virtuosistica è apparsa inappuntabile, compreso un Mi bemolle di tradizione piccolo ma preciso. L’altezza della prestazione del soprano australiano e il suo potere persuasivo sono stati perfettamente colti dal pubblico (come detto, purtroppo non molto numeroso), che ha tributato a lei gli applausi più generosi, inducendo alla fine i protagonisti a concedere ben quattro bis.
Meno felice la scelta del palinsesto da parte di Michael Spyres. Il tenore americano, vero fenomeno per agilità ed estensione, è uno dei pochi al mondo ad essere in grado di affrontare la temibile, innaturale tessitura dell’Aria di Antenore da Zelmira: è comprensibile quindi che con fierezza la proponga in concerto, ma sospetto che posizionarla proprio in esordio abbia avuto conseguenze negative su un’organizzazione vocale che raggiunge gli acuti estremi con una tecnica molto personale. Con gli sbalzi arditi e gli affondi nel registro grave (l’aria approda insistentemente al La sotto il rigo), infatti, la lunga scena non può che «tirare» la voce verso il basso, per cui gli acuti, in questa e nelle pagine immediatamente successive, sono risultati giocoforza un po’ appannati; tanto più che in generale il modo di Spyres di ascendere lungo la gamma espone le note al di sopra del La/Si bemolle a un avvertibile calo di volume e di squillo (particolarmente evidente in «Vieni fra queste braccia» e soprattutto nel Do della «Pira»). Il tenore ha acquisito con gli anni (si avvicina ormai alla quarantina) centri più corposi; il colore della voce è ora più maschio e affascinante, caratterizzato da un vibrato stretto per nulla sgradevole; la dizione è eccellente, grazie a una buona proiezione, il canto piuttosto generoso di sfumature, per cui il tenore nelle pagine più adatte a lui per tessitura (come l’Aria dai Due Foscari o «Verranno a te sull’aure») raggiunge esiti non trascurabili; dovrebbe solo meditare bene la strada da intraprendere per il futuro. Se intende (seguendo un po’ le orme di Gregory Kunde) abbracciare con decisione il repertorio della seconda metà dell’ottocento, verdiano in particolare, dovrà forse abbandonare i funambolismi del baritenore rossiniano e soprattutto rivedere la sua impostazione tecnica in modo da ottenere Si e Do più squillanti e appaganti.
Se Andriy Yurkevich (che dirigerà a febbraio Simon Boccanegra) non si è limitato ad accompagnare, ma ha saputo far «cantare» efficacemente l’orchestra e ha mostrato buone idee nella concertazione, il vero terzo protagonista del concerto è stato il coro del Carlo Felice, a cui sono spettati (oltre agli interventi interni alle scene) quattro brani (da Sonnambula, Anna Bolena, Don Pasquale e Roberto Devereux), tra i quali mancava forse il numero strappa-applausi, ma che hanno messo in luce innanzitutto un ottimo stato di forma e in secondo luogo la flessibilità e la vivacità interpretativa di una compagine adusa a calpestare le assi del palcoscenico.
Roberto Brusotti
crediti: Marcello Orselli