MOZART Le Nozze di Figaro A. Luongo, E. Buratto, R. Feola, M. Werba, M. Selinger, I. De Paoli, C. Lepore, M. Falcier, S. Fiore, D. Mizzi, G. Dallavalle; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma, direttore Roland Boër regia Giorgio Strehler (ripresa da Marina Bianchi) scene Ezio Frigerio costumi Franca Squarciapino movimenti coreografici Tiziana Colombo luci Gianni Mantovani
Roma, Teatro dell’Opera, 21 maggio 2015
Giorgio Strehler “debutta” al Teatro dell’Opera di Roma a quasi 18 anni dalla fine della sua avventura terrena con questo celebre spettacolo, nato nel 1973 nel Teatro di Corte della Reggia di Versailles e che poi l’Opéra de Paris, che lo produsse, portò al Palais Garnier (ampliando naturalmente l’impianto scenografico, dato che il Teatro di Corte è una bomboniera barocca per 500 posti). Con l’Opéra viaggio molto, ed io lo vidi a Washington nel 1976, nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti. Approdò alla Scala, che entusiasta lo acquistò, e lo portò in numerose tournée. Ne esistono varie versioni in DVD. È doveroso sottolineare che, anche grazie al lavoro di Marina Bianchi (un tempo assistente di Strehler) che ne cura le riprese, non ha perso nulla della freschezza, eleganza e raffinatezza che colpì il pubblico di tutto il mondo oltre quaranta anni fa. Alla prima romana, gli spettatori sono rimasti entusiasti, nonostante qualche mugugno iniziale per l’ora d’inizio: Roland Boër ha alzato la bacchetta alle 19 in punto, ora in cui la “Roma-che-può” di solito fa anticamera nelle segreteria di Ministri e di Capi di Gabinetto.
Con ogni probabilità i lettori di MUSICA hanno già visto questo spettacolo varie volte, e quindi questi commenti si riferiscono unitamente agli aspetti musicali. In primo luogo, a Parigi ed a Washington l’opera era concertata da Sir Georg Solti ed alla Scala è stata diretta in molte occasioni Riccardo Muti, nonché (serata contestatissima) da Andrea Battistoni in una ripresa più recente. Un tratto li accumuna e li differenzia da Roland Boër: nessuno di loro è un cembalista, mentre Boër lo è (come usava ai tempi di Mozart). Ci sono opinioni differenti sull’opportunità di affidare ad un direttore-cembalista un lavoro così complesso come Le Nozze di Figaro. A mio avviso, in questo caso, il passaggio dai numeri musicali ai recitativi secchi (numerosissimi e lunghi) acquista fluidità con Boër che dal podio raggiunge velocemente il fortepiano. Lo si avverte specialmente nel quarto atto in cui si scivola dolcemente dal recitativo all’aria di Susanna Deh vieni, non tardar ed al travolgente finale.
Veniamo alle voci. Tutte giovani e tutte di qualità, ma nel complesso il gruppo femminile supera quello maschile. Spicca Eleonora Buratto nel ruolo della Contessa: non solo con il suo volume riempie il teatro in Dove sono i bei momenti, ma dopo il breve recitativo iniziale passa dalla calma disperazione (per le infedeltà del marito e per il tentativo di riconquistarlo alleandosi con la propria cameriera) per concludersi con un moto d’ottimismo. Rosa Feola è una Susanna tutto pepe nei duetti e duettini per diventare calda, appassionata, per restando semplice in Deh, vieni, non tardar di cui giustamente sottolinea l’ambivalenza, enfatizzata dal pizzicato degli archi con flauto, oboe e fagotto che contribuiscono a creare l’atmosfera. Michaela Selinger è un Cherubino soprano lirico, perfetto nella canzone Non so più cosa son, cosa faccio; per mera preferenza personale, preferisco un soprano d’agilità più brunito (come la Frederikìca von Stade che vidi ed ascoltai nel ruolo nel 1976). Isabel De Paoli e Damiana Mizzi sono, rispettivamente, Marcellina e Barbarina, entrambe corrette; merita di essere sottolineata l’aria L’ho perduta cui Damiana Mizzi conferisce una notevole drammaticità.
Nel gruppo maschile, eccellono Markus Werba (Figaro) e Carlo Lepore (Don Bartolo). In questi ultimi anni, ho ammirato Werba in Capriccio, Die Zauberflöte ed altri titoli del repertorio tedesco. Il suo Figaro è perfetto sin dalla vigorosa cavatina Se vuol ballare fino alla grande aria Aprite un po’ quegli occhi, nella quale fa uno splendido studio del personaggio, preciso nell’esplorazione psicologica ma anche molto ironico e spiritoso. Lepore trionfa nell’aria La vendetta è un piacer serbato ai saggi, spesso trattata come uno dei punti deboli dell’opera ma, cantata da lui, vigorosa e al tempo stesso piacevole. Alessandro Luongo (Il Conte) appare schiacciato tra Eleonora Buratto, Rosa Feola, Markus Werba e Carlo Lepore. Ma forse voleva così Mozart; infatti, è proprio il perdente della folle giornata. Di livello Matteo Falcier e Graziano Dallavalle.
Giuseppe Pennisi