STRAUSS Macbeth op. 23 TrV 163 COLASANTI Time’s Cruel Hand PROKOFIEV Romeo e Giulietta, Suite controtenore Alex Potter Orchestra Sinfonica di Milano, direttore Jaume Santonja
Milano, Auditorium, 24 febbraio 2023
Shakespeare e la musica: tematica certo non originale, ma impaginata, in questo concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano, con rara intelligenza. Una prima parte a metà tra una rarità di compositore celeberrimo (il giovanile Macbeth) e una prima assoluta di Silvia Colasanti, compositrice in residenza dell’Orchestra; e una seconda parte occupata da un grande classico, ossia una ricca suite dal Romeo e Giulietta di Prokofiev. Sbrighiamo in poche parole il commento sull’esecuzione del repertorio: se la bacchetta di Jaume Santonja ha scelto, in Strauss, una lettura impetuosa e contrastata, ben curata nelle transizioni eppure anche attenta ai dettagli, per trarre tutto il buono dal lavoro giovanile del compositore bavarese, cercando di minimizzarne tutti quei difetti che erano ben evidenti a Strauss stesso e ai suoi primi interpreti, nel Romeo e Giulietta abbiamo ascoltato una concertazione piuttosto geometrica e rigorosa, a volte non rifinitissima, ma con sufficiente elasticità agogica da non mortificare il ribollente melodismo del compositore russo. E l’orchestra, pur con qualche imprecisione, l’ha seguito con molta convinzione.
Ma tutta l’attenzione era per la prima assoluta del nuovo lavoro di Silvia Colasanti, certo una delle voci più mature e talentuose del panorama della nuova musica italiana, una delle poche che sembra voler affermare con forza che la musica di oggi deve sapersi innestare con cultura e coraggio su radici pluricentenarie per potere dare frutti nuovi e freschi. La miglior presentazione di questi tre sonetti scespiriani (44, 40 e 19), musicati per controtenore e orchestra, è dovuta alla compositrice stessa:
Time’s cruel hand racconta il trascorrere inesorabile del Tempo attraverso le parole di William Shakespeare, la voce di un controtenore e i suoni di un’orchestra. In questi tre sonetti accanto alle immagini di una natura devastata e corrosa dal Tempo, un incedere del tempo che scalfisce la bellezza, Shakespeare inserisce quelle di una natura che strappa zanne, smussa artigli. Simbolicamente mi riporta ad un’idea del Tempo che mi appartiene: si presenta con il suo forte graffio, con il senso di continua perdita, un demone – Kronos – che divora tutto quello che trova, il cui potere distruttivo non esclude però un’altra forza: quella di addolcire le asperità, magari attraverso un percorso doloroso, un’elaborazione dei ricordi, insieme alla consapevolezza che quel Tempo distruttore non riuscirà a scalfire la bellezza. L’amore e l’arte divengono così una barriera eretta a difesa e memoria: “il mio amore nei miei versi vivrà giovane in eterno”. E se il Tempo distruttore vive nella violenza ritmica e negli urti dell’orchestra intera, sottolineati dalla forza delle percussioni, saranno la voce che continua incessantemente a cantare, e gli archi dolenti e lirici, a raccontare il potere immortale della Musica.
Su un’orchestra caratterizzata da un pulsare ritmico evidente, di solito affidato agli archi gravi, che anche fisicamente rendono una sorta di angoscioso ostinato (lo scorrere del tempo), la voce del controtenore, trasumanata eppure universale, sembra plasmare linee melodiche che, in sé, racchiudono sia il recitar cantando monteverdiano che, nella sua struttura armonica, echi di Purcell (sarà la lingua inglese, probabilmente: come impossibile è sfuggire alle memorie britteniane ascoltando la voce controtenorile adagiarsi su un’orchestra così iridescente e sapientemente gestita). Leggendo, sugli schermi in sala, l’originale di Shakespeare e l’immaginifica, poeticissima traduzione di Quirino Principe, si avverte con evidenza come la Colasanti sia riuscita ad esaltare la musicalità originaria dei sonetti scespiriani aggiungendo una sensibilità tutta moderna, inquieta e quasi fissa nell’attonito scorrere del tempo. E il rapporto conflittuale eppure inevitabile tra Kronos (il tempo che scorre) e Kairos (la natura qualitativa dello stesso) viene sublimato in maniera addirittura lancinante: il controtenore Alex Potter, impegnato in una tessitura aspra ma benissimo scritta (e sapere scrivere per le voci, e non contro di esse è qualcosa che pochissimi compositori odierni sanno fare) offre una prova di grande qualità, sì che complessivamente questo breve ciclo (venti minuti circa) di Silvia Colasanti potrà, anzi dovrà imporsi nel repertorio corrente, vista la sua indiscutibile qualità. Che il pubblico milanese, pur non foltissimo, ha premiato con lunghi applausi.
Nicola Cattò