BRAHMS Trio in SI op. 8 CIAIKOVSKI Trio in la op. 50 Trio di Parma: violino Ivan Rabaglia violoncello Enrico Bronzi pianoforte Alberto Miodini
Parma, Teatro Regio, 4 dicembre 2021
Il Trio di Parma è tornato a casa, nella sua città, al Teatro Regio, per festeggiare con un anno di ritardo, a causa della pandemia, i trent’anni di carriera in una serata nell’ambito della stagione della Società dei Concerti di Parma. Per l’occasione Ivan Rabaglia, Enrico Bronzi e Alberto Miodini hanno scelto due pagine da sempre intrecciate con i loro percorsi musicali, il Trio n. 1 in SI op. 8 di Johannes Brahms e il Trio in la op 50 di Piotr Ilic Ciaikovski, fin dai tempi in cui, giovanissimi, studiavano al Conservatorio parmense con Pierpaolo Maurizzi.
Al Regio hanno suonato da gran signori e da affabili padroni di casa. Nel corso di una serata per loro molto particolare, con un’ora e mezza di musica complessiva, le imprecisioni sono state pochissime ed erano evidenti la tranquillità nel dialogo, la capacità di scendere sotto la superficie delle note, di ascoltarsi a vicenda, le sottigliezze timbriche e dinamiche che prima di tutto erano sfumature dell’espressione.
Il loro suono appariva miracolosamente morbido al Regio, forse perché Rabaglia, Bronzi e Miodini conoscono molto bene un’acustica che è un poco sorda per la musica da camera, come accade in tutti i teatri lirici, e sanno come dominarla, ma a rendere la serata emozionante c’erano anche un legato di ottima fattura, la precisione degli attacchi e delle chiusure di frase — mai una sbavatura, una forzatura nel suono, un’incertezza nelle arcate — e soprattutto un impasto timbrico pastoso e morbido.
Si avverte molto bene la routine nel modo di suonare nel Trio di Parma, non però la routine delle formazioni che dopo una vita di concerti suonano con classe e con un certo distacco, piuttosto la routine di musicisti che trovano subito l’intesa emotiva perché sanno in ogni momento cosa stanno per fare i compagni di avventura. Ciò è stato evidente fin dalle battute del Trio brahmsiano, le quali hanno per così dire fissato il clima emotivo dell’intera serata al Regio, trascorsa nel segno di una malinconia crepuscolare (alcune delle variazioni del secondo dei due movimenti del Trio op. 50 di Ciaikovski rasentavano il silenzio, tanto erano levigate e sussurrate) e della cordialità del dialogo. Si tratta della naturalezza nel dialogare propria degli autentici cameristi, dei cameristi capaci anche di abbandonarsi alle passioni ed al virtuosismo è quando necessario ma sempre con classe e con misura, come a Parma hanno rivelato gli slanci e le sonorità quasi orchestrali della coda del movimento conclusivo del Trio di Ciaikovski.
I delicati staccati del secondo movimento, il cantabile intimo e raccolto dell’Adagio, l’intensità dei dialoghi del movimento iniziale e l’ombroso attacco dell’Allegro conclusivo: il Trio brahmsiano sarebbe tutto da citare per la qualità di un’esecuzione e l’intensità di un’interpretazione in cui raramente capita di imbattersi. Rabaglia, Miodini e Bronzi non si rubano mai la scena a vicenda, non sono tre solisti che fanno nascere un’interpreazione dalla diversità e dai contrasti, come spesso capita ed anche, va detto, con risultati eccellenti; sono tre membri di un unico organismo musicale che sembrano respirare insieme e sembrano pensare insieme, suonando sempre con l’orecchio teso ad ascoltarsi.
Bastavano, a dimostrarlo, le prime battute del Trio in la op. 50 di Ciaikovski, con il pianoforte di Miodini lontano e sfuggente a lasciare la scena al canto languido del violoncello di Bronzi, ripreso con grande tatto dal violino di Rabaglia in un doloroso dialogo culminante nelle funeree battute conclusive della coda dell’esposizione. In anni di musica in comune i tre del Trio di Parma sono arrivati a costruire le loro interpretazioni per sottrazione di pathos e non per aggiunzione, ed è stato questo a rendere il Trio in la op. 50 ascoltato al Regio così dolorosamente intimo: penso ai pianissimi leggeri e volanti delle prime variazioni del lungo secondo movimento, penso al candore del successivo fugato, alla trasparenza del valzer, alla pulizia della fuga, affrontata in scioltezza sia nel fraseggio sia nelle sonorità.
Alla fine sono arrivati due bis, il secondo movimento del Terzo trio di Dvořák ed il secondo movimento del Terzo trio di Schumann, altre due esecuzioni di gran classe, sempre nel segno di un fascinoso legato e di un seducente amalgama sonoro. Soprattutto Dvořák è stato un capolavoro di equilibrio, perché la vivacità ritmica ed i contrasti dinamici si inserivano in un contesto di misura e di eleganza. Due i bis, ma avrebbero potuto essere di più, se i tre musicisti del Trio non avessero salutato il pubblico facendo intendere che la serata era finita. Anche se concerti così intensi si vorrebbe non finissero mai.
Luca Segalla