VERDI Il Trovatore Y. Eyvazov, A. Netrebko, L. Salsi, D. Zajick, R. Fassi, C. Bosi, E. Zizzo; Orchestra, Coro e Corpo di Ballo dell’Arena di Verona, direttore Pier Giorgio Morandi regia e scene Franco Zeffirelli costumi Raimonda Gaetani coreografia El Camborio
Verona, Arena, 29 giugno 2019
Nelle vecchie guide Touring, monumenti e città di particolare bellezza venivano gratificati del consiglio “vale una deviazione” o, in casi eclatanti, “vale il viaggio”: beh, i pochi minuti di “D’amor sull’ali rosee” eseguito da Anna Netrebko l’altra sera all’Arena di Verona sono valsi non solo il viaggio, ma molto di più. Faccio fatica a frenarmi con i superlativi: nell’ampio spazio aperto, la sua voce correva in modo straordinario, con trilli incisivi e nitidissimi, un dominio superlativo dell’ampia tessitura, fino alle grandi frasi finali, con un Do acuto in pianissimo che era un capolavoro di tecnica e poesia insieme. La melopea notturna di Leonora conosceva, grazie ad Anna Netrebko, un’intensità straziante in cui il dolore si sublima in canto, in patetismo: il che è l’essenza stessa del melodramma romantico italiano. Ma, complessivamente, la cantante russa, in serata di grazia e al suo debutto all’Arena, ha abbandonato ogni prudenza, sfoggiando agilità incisive (anche nelle due ispide cabalette, entrambe con da capo), un fraseggio variato e una dizione ottima, mostrando una volta di più perché sia davvero una delle grandi dive di oggi, capace di reggere ogni possibile confronto con i mostri sacri del passato (i quali, tra l’altro, in Arena rinunciavano a tutte le sfumature mostrate dalla Netrebko): il trionfo che l’ha salutata è stato davvero clamoroso.
Per il resto, si è trattato di un Trovatore di discreta routine: lo spettacolo di Zeffirelli è ben noto, e il giudizio su di esso può variare, perché si può certamente apprezzare l’atmosfera ferrigna, di cappa e spada, intensamente notturna che le maestose scenografie e gli opulenti costumi tendono a creare, fino ad un finale secondo in cui il coup de théâtre dell’apertura della torre centrale, che diventa un gigantesco altare di chiesa, impressiona il folto pubblico. Ma non si può, naturalmente, tacere come anzitutto il peculiare spazio areniano non sia sfruttato come si potrebbe (le gradinate posteriori al palcoscenico sono quasi vuote), e come di una vera regia non sia possibile parlare, come molto spesso nell’ultimo Zeffirelli: al suo posto un accumulo ossessivo di comparse, cavalli, ballerini (vengono persino ripresi i ballabili della versione francese: un paio di minuti in coda a “Vedi le fosche” e qualche altro minuto nel terzo atto, ma scorciati impunemente) tutti fatti muovere con molto senso del teatro ma anche con un’opulenza che arriva a evocare l’effetto luna park. Yusif Eyvazov, al di là dell’assurdità di una “Pira” con un do aggiunto già nella prima esposizione (ma il direttore d’orchestra cosa ci sta a fare?) fa quello che può con la sua voce diseguale e asprigna: “Ah sì ben mio” è apprezzabile, lo slancio fiero e incisivo del quarto atto ammirevole, ma — a prescindere da qualche papera testuale — il suo Manrico non è né guerriero né poeta innamorato.
Di Dolora Zajick, 67enne, che dà l’addio al ruolo con queste recite, è meglio tacere per rispetto ad una carriera comunque importante, mentre Luca Salsi non è apparso al massimo della forma, specie in una scena iniziale con qualche nota calante di troppo, ma nel “Balen” si è salvato con l’ottima sicurezza tecnica. Eccellente il Ferrando di Riccardo Fassi, voce non artatamente scurita e emissione sicura, e tutti i comprimari. Ma è stata la serata di Anna Netrebko: una vera, grande diva dei nostri giorni.
Nicola Cattò
©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona