Il Trittico puccinian-dantesco emoziona al Verdi di Trieste

Il tabarro

PUCCINI Il trittico: Il tabarro R. Burdenko, O. Maslova, M. Sheshaberidze, C. Mogini, E. Iviglia, F. Valenti Suor Angelica A. Bartoli, G. Lanza, F. Giansanti, C. Mogini, I. Celle, F. Sardella, V. Foia, E. Zulikha Benato, E. Serra, A. Omarova, A. Gambino, A. Ciprian, S. Pasternak, T. Previati Gianni Schicchi R. Burdenko, S. Cortolezzis, C. Mogini, P. D’Aloia, E. Iviglia, I. Celle, A. Giacobbe, F. Valenti, N. Ceriani, E.Z. Benato, I. Zanetti, G. Pelizon, D. Locatelli, A. Busi; Coro e Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, direttore Francesco Ivan Ciampa regia Pier Francesco Maestrini scene Nicolas Boni costumi Stefania Scaraggi luci Daniele Naldi  

Trieste, Teatro Verdi, 21 febbraio 2025

Il successo è prima di tutto della coproduzione (Bologna-Trieste), per la solerzia profusa in questo complesso progetto che richiedeva una speciale condivisione operativa di tutte le professionalità (tecniche e artistiche) a innescare il sortilegio del Teatro nella sua continua rigenerazione. Poi si potrà pure discutere sulla liceità della scelta del regista fiorentino nella inedita visione del Trittico – finalmente restituito (al Verdi dopo mezzo secolo) all’ integrità originaria – nell’ottica della Commedia dantesca: dall’Inferno al Paradiso, se per Paradiso laico vogliamo intendere il luogo della “risata finale” che promuove lo Schicchi ad approdo felice. Per cui nel Trittico di Puccini potremmo seguire persino una linea di spietata disumanizzazione: dal realismo zoliano del Tabarro al Purgatorio delle attese senza speranze (Suor Angelica) fino al vortice di cinismo di Gianni Schicchi.  La fonte è il visionario fantastico di Gustav Doré, che qui fornisce pure gli elementi portanti della scena: due arcate contrapposte funzionali a tutte e tre le opere. In tutte domina lo sfondo stupendo ideato da Nicolas Boni con il capolavoro luministico di Daniele Naldi: il cielo gonfio di nembi, minaccioso, cangiante, solcato da fiotti di storni, squarciato da lampi che incombono sul fiume e sul dramma. O il cielo terso, immoto sulla rovina di un chiostro aperto sul mare e su una fuga di falesie, quanto lontane dal solito interno claustrale di Suor Angelica!O il cielo affrescato come cupole barocche sulla ridda familiare e sulla burla di Schicchi con una inquietante invenzione finale. È tutto un rigoglio di fantasia illustrativa, di echi, di rimandi che coniuga suggestioni pittoriche, tecniche video in un trompe l’oeil, continuo che avviluppa il dramma. Vi spicca l’accuratezza del lavoro svolto sugli interpreti, su ogni individualità, fin sull’ultimo figurante; una concertazione che in Maestrini dev’essere di eredità paterna. Ricordo infatti che in anni lontani al Verdi si diceva di quanto fosse bravo il padre Carlo nel “movimento” dei gruppi e delle masse. 
Il primo titolo, in questo caso, è illuminante nella corrispondenza con l’Inferno dantesco. Vi emerge subito il contributo formidabile di Stefania Scaraggi per i costumi nel sostenere la concezione registica: a cominciare da quel verminaio di dannati/forzati che il barcone di Michele/Caronte vomita in un angiporto di poveri sogni e di morte. Dei tre atti unici Il tabarro pare dunque la realizzazione registica più persuasiva, anche per quel senso di sospensione del tempo che si ritroverà in Suor Angelica.  In questo caso assorbita “in chiaro” da una lentezza, da una fissità meditativa che la sposta nella sfera del sogno ma toglie qualcosa alla suspense pucciniana: il trasalimento, per esempio, che la increspa all’annuncio “Chi è venuto stasera in parlatorio?”, dal quale sembra cominciare il dramma. Ma il finale con la protagonista che si sottrae alla metamorfosi in Dafne (rimando al destino dei violenti contro sé stessi) per annullarsi nella luce, è emozionante.  L’ottica dantesca di Maestrini è comunque una superfetazione culta per cui è difficile ritrovare il senso del Gianni Schicchi (pur ammirando la ricchezza dell’impianto e dell’inventiva) nella dimensione e negli eccessi di un necro-macabro grottesco abitato da morti viventi. Sovrabbondanza che trova ottimo controllo nell’esecuzione musicale governata da Francesco Ivan Ciampa: orchestra e palcoscenico si esaltano nell’intensità delle nervature sinfoniche, nelle tinte così diverse delle tre opere, nel respiro dei grandi momenti ma anche nella finezza delle “piccole cose”.

Suor Angelica

Compagnia di canto d’eccezione. A partire dalla magnifica omogeneità di Roman Burdenko, che già aveva impressionato negli stessi ruoli (Michele e Schicchi) a Salisburgo. Qui dà al primo l’intensità larga della passione e nel finale la statura e gli occhi di bragia di un vindice Caron dimonio; al secondo conferisce uno sbalzo sulla parola tale da sembrare appena uscito dalla scuola di Taddei o Panerai. Olga Maslova supera le insidie del ruolo di Giorgetta con vocalità più ferrigna che sensuale; Mikheil Sheshaberidze martella a dovere gli accenti di Luigi; Chiara Mogini (nel ruolo spesso affidato a vecchie glorie) mette al servizio della Frugola la sua giovinezza vocale: una rivelazione anche per la graffiante vivezza della Zita nello Schicchi e soprattutto per la  statura della sua zia Principessa qui accompagnata da un “doppio”, incarnazione di anima che più nera non si può, contrapposizione estrema alla bellezza vocale della protagonista Anastasia Bartoli.  Vi è nel soprano veneto (il frutto non cade lontano dall’albero, essendo figlia di Cecilia Gasdia) una corrispondenza perfetta di intelligenza musicale, di sontuosità vocale, di sensibilità di fraseggio, di messe di voce da brivido antico. Insomma una personalità degna di entrare nella élite non solo delle Suore Angeliche, come sancito calorosamente dal pubblico triestino alla fine dell’opera.  Tutti meritevoli di lodi gli altri interpreti nel folto cast del Trittico. Non si può tuttavia non sottolineare fra le eccellenti caratterizzazioni, l’imperiosa Badessa di Giovanna Lanza, la palpitante finezza con cui Sara Cortolezzis ha intonato “O mio babbino caro” e tratteggiato Lauretta, accanto alla schiettezza generosa del tenore Pierluigi D’Aloia (Rinuccio). Nelle festose chiamate dei ringraziamenti finali, particolarmente nutrite le accoglienze al direttore Francesco Ivan Ciampa.  
Gianni Gori  

Gianni Schicchi

Foto: Fabio Parenzan

Data di pubblicazione: 24 Febbraio 2025

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