ROSSINI Il Turco in Italia S. Alberghini, E. Galitskaya, G. Mastrototaro, D. Terenzi, F. Brito, P. Gardina, A. Garés; Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, Coro Lirico Veneto, direttore Hossein Pishkar regia Roberto Catalano scene Guido Buganza costumi Ilaria Ariemme
Novara, Teatro Coccia, 22 novembre 2024
Già Gabriele Cesaretti ha riferito di questa produzione del Turco in Italia rossiniano (qui la sua recensione) nella tappa di Jesi: arrivato ora a Novara, devo dire che l’impressione che ne ho ricavata è stata molto meno positiva. A partire dallo spettacolo di Roberto Catalano che, certamente, è gradevole e furbo nell’insistere su una Fiorilla fashion victim (con un’ambientazione anni ’60) che è continuamente inseguita da fattorini che le consegnano i frutti del suo shopping, in un ambiente sbrilluccicante fatto di costumi giallo limone, di superficialità e consumismo, salvo poi accorgersi di quanto fosse vano il mondo da lei costruito e, nell’aria finale, rinunciare anche visivamente a tutti gli “ornamenti fatali”. Catalano ha mano leggera, gestisce bene anche la difficile scena “in maschera” del secondo atto, ma semplifica eccessivamente una drammaturgia che, in quest’opera, è singolare quanto mai: la figura del poeta Prosdocimo, che “plasma” il suo dramma buffo annotando quanto vede e condizionando gli eventi, rimane del tutto secondaria, così come non si può fare a meno di avvertire una sensazione diffusa di banalità.
Musicalmente le cose non sono andate benissimo: l’Orchestra Cherubini ha suonato in maniera più che discreta, ma dal podio Hossein Pishkar ha mostrato assai poca flessibilità, che ha causato una continua oscillazione nel rapporto con i cantanti, che sembravano andare su un binario parallelo al suo. Perché la brillantezza strumentale è una bella cosa, ma se non si costruisce un dialogo con chi sul palco agisce, rimane fine a sé stessa. Il migliore del cast era, di gran lunga, Giulio Mastrototaro, un Geronio dalla voce salda e timbrata, capace di esaltare il lato umano e malinconico del suo personaggio, e per il quale si è riaperta l’aria (riscoperta negli ultimi decenni) “Se ho da dirla”: scelta in sé poco sensata (tre arie solistiche di fila non sarebbero state proponibili ai tempi di Rossini) ma giustificata dall’esecuzione così convincente. Molto bene anche Daniele Terenzi, un Poeta vivace e dalla voce benissimo gestita, mentre Simone Alberghini, che ha sostituito Nahuel Di Pierro come Selim, merita certo l’onore delle armi, ma appare ormai al lumicino vocalmente. Passabile il Narciso di Francisco Brito, mentre Elena Galitskaya è parsa del tutto impari alle aspre esigenze del ruolo di Fiorilla, affondando irrimediabilmente nella grande scena finale; e che si sia conservata l’aria di Albazar avendo a disposizione un interprete così improbabile è l’ennesima testimonianza di quanto il sacrosanto recupero della prassi esecutiva possa generare mostri. Una produzione, tirate le somme, abbastanza modesta: che poi il coro impiegato fosse solo maschile, e che l’aria di entrata di Geronio abbia dovuto appoggiarsi al pertichino della sola Zaida (Paola Gardina: non male), è tutto dire.
Nicola Cattò
Foto: Mario Finotti