VERDI Falstaff N. Alaimo, V. Stoyanov, R. Barbera, C. Collia, C. Olivieri, F. Milanese, S. Zanetti, C. Sala, S. Mingardo, V. Simeoni; Orchestra e Coro del Teatro La Fenice direttore Myung-whun Chung regia Adrian Noble scene Dick Bird costumi Clancy luci Jean Kalman e Fabio Barettin
Venezia, Teatro La Fenice, 20 novembre 2022
Alla fine del 1890 Giuseppe Verdi aveva 77 anni e allo scrittore Gino Monaldi aveva scritto: «Sono quarant’anni che desidero scrivere un’opera comica, e sono cinquant’anni che conosco Le allegre comari di Windsor; pure… i soliti ma, che sono dappertutto si opponevano sempre a far pago questo mio desiderio. Ora Boito ha sciolto tutti i ma, e mi ha fatto una commedia lirica che non somiglia a nessun’altra. Io mi diverto a farne la musica; senza progetti di sorta, e non so nemmeno se finirò…ripeto: mi diverto… Falstaff è un tristo che commette ogni sorta di cattive azioni…ma sotto una forma divertente. È un tipo! Son sì vari i tipi! L’opera è completamente comica!».
Da questa dichiarazione di intenti sembra aver preso le mosse il regista inglese Adrian Noble, che così bene conosce il teatro shakespeariano — è stato per quasi quindici anni direttore artistico della Royal Shakespeare Company, la celebre compagnia teatrale inglese nata nel 1960 a Stratford-upon-Avon. A lui il Teatro La Fenice si è affidato per la messa in scena di Falstaff, ultima opera di un Verdi ottantenne che guarda alla vita con un sorriso distaccato, ma sempre umanissimo e venato di malinconia. Noble si diverte a mettere in luce il lato comico del personaggio, smargiasso e fanfarone quant’altro mai, che ha il suo modello di riferimento nel Miles gloriosus di Plauto e nell’Eunuco di Terenzio, archetipi di una vasta schiera di soldati, capitani e cavalieri millantatori e spacconi, ricorrenti nella storia del teatro europeo. Shakespeare, che si rifà a questa tradizione, lo costruisce come un personaggio comico: un gentiluomo giullare, dotato di un appetito insaziabile per il cibo, le bevande e le donne; bugiardo e orgoglioso, riesce ad uscire dalle situazioni pericolose, delicate o grottesche in cui si ritrova regolarmente grazie all’arguzia e allo spirito di cui è abbondantemente fornito.
Nel mettere in scena le sue avventure, così come sono trasposte in versi da Arrigo Boito, il regista inglese ricrea una porzione del mitico Globe Theatre ad incorniciare il palcoscenico. Al centro, un palco ligneo su cui si svolgono i fatti salienti della vicenda. In questo modo si crea uno straordinario effetto di teatro nel teatro che addirittura si raddoppia quando sulla scena, nel primo atto, assistiamo contemporaneamente alla messinscena del Sogno di una notte di mezza estate e allo svolgersi della trama dell’opera verdiana. La mano sapiente di Noble, abituato al teatro di prosa, è evidente nella grande cura della recitazione con la quale si muovono, dal primo all’ultimo, i cantanti, i ballerini, il coro. La bellezza dei costumi, firmati da Clancy, evocanti il periodo elisabettiano, la bellezza delle scene di Dick Bird, le luci efficaci di Jean Kalman e Fabio Barettin offrono un insieme caldo e perfetto per ricreare questo capolavoro estremo del genio verdiano. Una visione tradizionale, ma non scontata, quella di Noble, cui si è sempre meno abituati nei teatri e che taluno potrebbe tacciare di passatismo: in realtà ci si diverte, ci si commuove e, mai come in questa trasposizione, il finale appare drammaturgicamente così efficace, a sottolineare questo gioco metateatrale: la sublime fuga “Tutto nel mondo è burla. L’uom è nato burlone…Tutti gabbati!.. Ma ride ben chi ride la risata final” è la più logica conclusione delle avventure dello smargiasso, ironico e disilluso Falstaff e di quanti lo affiancano sul palcoscenico.
Il lavoro di squadra con cui si è arrivati a questo risultato ha coinvolto, come si diceva, tutti: a cominciare dal direttore, Myung-whun Chung, che ha assecondato la visione registica proponendo una lettura della partitura verdiana quasi frenetica nei momenti più concitati (con alcuni eccessi nelle dinamiche, forse ad enfatizzare le smargiassate di Falstaff), ma anche capace di colori sfumati e belle trasparenze nell’acquerellare le oasi liriche che avvolgono Nannetta e Fenton, i due giovani innamorati. L’Orchestra lo ha assecondato al meglio.
La compagina di canto, ottimamente assortita, trovava il suo punto di forza nel protagonista: Nicola Alaimo è forse oggi il Falstaff di riferimento avendo fatti propri i tratti del personaggio verdiano con una capacità di immedesimazione e di divertito compiacimento rari da trovare. La voce è un fiume di suono compatto, morbida e calda, potente ma capace di assottigliarsi nel canto a fior di labbra della celebre aria “Quand’ero paggio”. Mille le sfumature e le sottigliezze che lo portano dall’enfasi sfrenata alla cupezza, dalla malinconica nostalgia per la giovinezza perduta alla disillusione del finale. Aggiungi il perfetto physique du rôle e avrai l’interprete ideale per la parte di Falstaff. Il pubblico, giustamente, lo premia con un successo travolgente. Allo stesso livello si pone la Mrs Quickly di quell’artista sublime che è Sara Mingardo, capace di restituire tutta la femminilità, l’ironia e la divertita scaltrezza della donna matura senza mai far ricorso ad effetti caricaturali: l’emissione è quella elegante che ben si conosce, così lontana dalle tradizionali forzature nel registro grave che di solito si ascoltano. Accanto al lei, l’Alice Ford di Selene Zanetti, tratteggiata nei suoi caratteri di donna smaliziata e passionale, ottimamente cantata e ancor meglio recitata. Meg era l’efficace Veronica Simeoni, voce di lusso per una parte non protagonista. La giovane Caterina Sala era una credibilissima Nanetta, dalla voce piccola ma incisiva.
Sul versante maschile, c’è da ricordare l’ottima prova del baritono bulgaro Vladimir Stoyanov nel ruolo di Ford: la sua voce potente è una colonna di suono ambrato ed omogeneo che gli permette di tratteggiare un personaggio brusco e scostante, che trova il suo apice nel monologo “delle corna” (“È sogno? O realtà?”). Bravo anche René Barbera nella parte di Fenton, così come il Cajus di Christian Collia, i compagni di Falstaff, Bardolfo e Pistola, efficacissimi, di Cristiano Olivieri e Francesco Milanese.
La serata si è chiusa con una gran festa scandita dagli applausi ritmati del pubblico, degli orchestrali e del coro. Un avvio di stagione che fa ben sperare, se è vero l’adagio che “chi ben comincia…”.
Stefano Pagliantini
Foto: Michele Crosera