SCHUBERT Ouverture in re maggiore D 590 “In stile italiano”; Sinfonia n. 3 in re maggiore D 200 MENDELSSOHN Ouverture op. 26 “Le Ebridi”; Sinfonia n. 5 in re min. op. 107 “Riforma”
Filarmonica della Scala, direttore Daniel Harding
Milano, Teatro alla Scala, 15 settembre 2021
La serie dei Concerti d’Autunno, proposta dalla Filarmonica scaligera, ha come incipit un programma all’apparenza di piacevole immersione nel romanticismo più consolidato. Schubert e Mendelssohn, attraverso alcune pagine di maggior e minor frequentazione, aprono scenari di più ampio respiro, permettendo di rintracciare legami con i fermenti artistici che tanto hanno innervato i primi decenni del Ottocento. Intelligente e raffinato excursus, quello impaginato da Daniel Harding: l’Ouverture in re maggiore “In stile italiano” è uno sfaccettato omaggio al genio operistico rossiniano e allo sfavillante mondo del teatro che tanto impazzava ad inizio secolo sui palcoscenici di tutta Europa. Il meditato adagio iniziale e il brioso, virtuosistico finale, riassumono la ricerca di malinconica meditazione e nordica ispirazione con l’estroversione dei concertati caratteristici dell’operismo rossiniano. Differenti prospettive, quelle che si aprono all’ascolto della giovanile Sinfonia in re maggiore: dall’Adagio maestoso iniziale, al Presto vivace finale, non è solo un meditato ritratto di gusto viennese, immerso nel ricordo di Mozart ed Haydn, ma anche un voler celare squarci di ombre e inquietudini che sempre in Schubert aleggiano, pur se trattenute.
L’epica romantica dirompe, invece, con l’Ouverture Le Ebridi, di Mendelssohn: recupero delle rovine medievali, gusto per un passato mitico trasognato, suggestioni naturalistiche dove timore per la grandiosità dell’ambiente e fascino si fondono indissolubili, convergono nella celebre Ouverture del compositore amburghese; dove la pagina sinfonica guarda sia al passato storico, ma apre al futuro programmatico, così ben sviscerato dai poemi listziani. Mendelssohn si pone, così, quale tramite tra l’attenzione verso i maestri (su tutti Mozart ed Händel), ma rielaborati con una visionarietà che farà da ponte verso la successiva produzione sinfonica ed operistica.
In questa linea si inserisce la Sinfonia in re minore, Riforma: oltre al recupero di corali luterani, dei quali uno reso celebre da Wagner stesso nel Parsifal, è l’idea di base, quale celebrazione del luteranesimo e della tradizione germanica che da un lato si radica nella cultura a loro contemporanea, dall’altro è tema di fondo per tutta la produzione wagneriana stessa, non solo come impianto di base, ma anche per la ciclicità tematica che si affaccia nella pagina di Mendelssohn. Si respira un clima da Maestri Cantori di Norimberga, di contrapposizioni tra cattolici e protestanti che si risolvono ovviamente con inni trionfali e positivi verso quest’ultimi, descrittivi di un sentimento di rinnovamento germanico caro al romanticismo d’inizio Ottocento.
Il concerto ha visto la Filarmonica della Scala in ottima forma, con particolare menzione per gli ottoni, sottoposti a prodigi di ricerca timbrica, e per gli archi, nello specifico le viole dal colore caldo e dallo splendido legato. Daniel Harding mantiene, da sempre, un approccio lucido ed intelligente alle partiture, con la sapienza di equilibrare le sezioni e di farle dialogare tra di loro il più possibile, senza perdere mai di vista l’insieme. Ha anche il grosso merito di voler differenziare il colore orchestrale rispetto ai compositori eseguiti, come è emerso all’ascolto di Schubert (più lieve e aggraziato) per poi passare ad un Mendelssohn robusto e caldo. Il gesto, se talora indulge a ricordi d’altri direttori, è man mano divenuto più personale, sempre elegante e intelligente.
Notevole successo di pubblico, con richieste di bis purtroppo disattese e applausi appassionati verso la compagine scaligera.
Emanuele Amoroso
Foto: Hanninen