VIVALDI da Teuzzone RV 736 «Di trombe guerriere»; da Giustino RV 717 «Vedrò con mio diletto»; da Orlando RV 728 «Sol da te mio dolce amore» e «Come l’onda»; da Argippo RV 697 «A piedi miei svenato»; da Tito Manlio RV 738 «Combatta un gentil cor»; Concerto in DO RV 537 per due trombe, archi e basso continuo; Concerto in DO RV 425 per mandolino, archi e basso continuo; Concerto da camera in sol RV 107 per flauto, oboe, violino, fagotto e basso continuo; Concerto in DO RV 449 per oboe, archi e basso continuo; Concerto in re RV 565 per due violini, violoncello, archi e basso continuo; Concerto in fa RV 297 per violino, archi e basso continuo «L’inverno» controtenore Raffaele Pe violino e mandolino Duilio Galfetti flauto Stefano Bet fagotto Giulia Genini oboe Pier Luigi Fabretti trombe Thibaud Robinne e Nicolas Isabelle violoncello Mauro Valli I Barocchisti, direttore Diego Fasolis
Lugano, Auditorio Stelio Molo, 15 febbraio 2019
C’era un’atmosfera elettrica all’Auditorio Stelio Molo, nella sede della Radio della Svizzera Italiana, lungo l’intero recital vivaldiano del controtenore Raffaele Pe e dei Barocchisti di Diego Fasolis. La si avvertiva nel silenzio irreale che calava all’improvviso poco prima dell’inizio di ogni brano e nel successivo scrosciare degli applausi, con un pubblico quasi in delirio – e l’Auditorio era pieno solo per metà… – come spesso capita con i cantanti capaci di far rivivere – penso a Philippe Jaroussky – il pirotecnico repertorio dei castrati del Settecento. Elettriche erano le interpretazioni di Raffaele Pe e di un Diego Fasolis addirittura spiritato, il quale come consuetudine dirigeva i suoi Barocchisti al clavicembalo imprimendo una travolgente vivacità ritmica che ha finito per trasfigurare brani anche molto noti come il Concerto per violino in fa RV 297 «L’inverno», una delle tante pagine strumentali inserite come cerniera tra un’aria e l’altra.
Il virtuosismo del trentaquattrenne Raffaele Pe si basa su un perfetto controllo del fiato e della tecnica, in virtù del quale da un lato può raggiungere una grande agilità nei passaggi veloci e negli abbellimenti dall’altro ottiene un’estrema pulizia nell’emissione, con pochi termini di paragone tra i controtenori di oggi. Nel virtuosismo, però, non si esaurisce la sua capacità di sedurre il pubblico, anzi in questo senso il virtuosismo non è nemmeno l’aspetto più importante della sua vocalità. Ad affascinare sono soprattutto una voce del timbro ricco di armonici, sempre morbida anche nei pianissimi, capace di conservare il colore ed il «peso» anche nei passaggi più impervi, e un fraseggio dipanato con gran classe. I legati sono da antologia e l’intonazione è sempre stabile anche nelle note più lunghe, come a Lugano ha dimostrato con l’aria «Vedrò con mio diletto» dal Giustino, per non dire delle raffinatissime «messe di voce». L’agilità di Raffaele Pe ha poi qualcosa di miracoloso, anche perché si sposa a un’estrema scioltezza dell’eloquio, a Lugano sempre in perfetta sintonia con i Barocchisti, evidente in arie come «Di trombe guerriere» dal Teuzzone e la sontuosa «Combatta un gentil cor» da Tito Manlio con tromba obbligata, una vera e propria sfida tra la voce umana e lo strumento. Si avvertiva un’ombra di fatica soltanto in una pagina dal virtuosismo stellare quale l‘«aria di similitudine» «Come l’onda», dall’Orlando, mentre di grande spessore drammatico è stata l’interpretazione dell’aria «A piedi miei svenato» dall’Argippo.
A fare da contorno all’esibizione di Raffaele Pe c’era una ricca scelta di concerti vivaldiani eseguiti dai Barocchisti, un contorno in realtà di lusso, considerata la qualità dell’ensemble ticinese di Diego Fasolis. Si inizia con un cambiamento nell’ordine dei brani in programma, perché Fasolis ha dimenticato il vestito del concerto in auto, come spiega in un divertente siparietto con il pubblico e quindi lascia spazio al Concerto da camera RV 107, in cui il clavicembalo non è necessario, mentre il direttore va a cambiarsi. In questa pagina i Barocchisti si sono rivelati molto delicati e naturali, anche perché in un sala dall’acustica pressoché perfetta come l’Auditorio Stelio Molo non è necessario spingere alla ricerca del suono e perfino il mandolino di Duilio Galfetti nel Concerto in DO RV 425 arrivava intatto alle orecchie del pubblico. Tutti da applaudire sono stati i solisti per la brillantezza del virtuosismo e la precisione (quasi) assoluta dell’intonazione, in particolare proprio Galfetti, violino solista in un «Inverno» come abbiamo scritto, ritmicamente molto acceso.
Al termine di un concerto durato oltre due ore, intervallo compreso, è arrivato un bis prezioso, l’aria «Sovente il sole», da Andromeda liberata, in cui il fraseggio delicatamente malinconico di Raffaele Pe ha incantato ancora una volta il pubblico.
Luca Segalla