Ieri sera al Festival di Sanremo il trio “Il Volo” ha proposto, oltre ad una canzone di Sergio Endrigo, l’abusatissimo “Nessun dorma” dalla “Turandot” di Puccini. Il problema è sempre lo stesso: ha senso “permettere” che tre cantanti di estrazione pop affrontino il repertorio lirico nella speranza che il numerosissimo pubblico che vede Sanremo in TV (o che frequenta, in tutto il mondo, i concerti del Trio), si avvicini al mondo classico, oppure, al contrario, il messaggio che ne risulta è così frainteso, banalizzato che tutto si risolve nell’eterno melodismo all’italiana, accomunando sotto lo stesso ombrello Puccini e Baglioni, la principessa di gelo e la maglietta fina?
Una questione certo non nuova, che nasce — direi — un secolo fa, quando le strade della musica “classica” e “leggera” si separano sempre più: da allora abbiamo avuto Claudio Villa che duetta con Magda Olivero, Del Monaco che canta “Un amore così grande”, Di Stefano che incide un disco di canzoni sanremesi (appunto…), Domingo che si incrocia con John Denver (“Perhaps love”), i vari Pavarotti & friends e, ovviamente, i Tre Tenori. Senza dimenticarsi il “caso Allevi”, cui la nostra rivista (e il nostro sito: vedi https://www.rivistamusica.com/allevi-e-il-concerto-racconto…/ e https://www.rivistamusica.com/allevi-e-il-concerto-parola-a…/) ha dedicato ampio spazio.
E quindi: queste contaminazioni, più o meno perverse, sono sempre da condannare? Cosa ne determina il successo e la qualità? Dite la vostra.
Il Volo a Sanremo: anatema, ma forse no…
Data di pubblicazione: 8 Febbraio 2018