Lo scorso 26 ottobre è morto, all’età di 92 anni, Franco Fayenz, storico giornalista e decano dei critici jazz italiani. Davide Ielmini lo ricorda così
Come fare amare il jazz agli italiani? Come scriverne? Quali corde toccare? E, soprattutto, quanto ritmo metterci? Risposte alle quali Franco Fayenz, scomparso il 26 ottobre 2022 a 92 anni, ha saputo rispondere con stile, raffinatezza e quella asciuttezza che mai è mancata nelle sue recensioni e nelle sue analisi. Laureato in giurisprudenza, discendente di Emilio Salgari, Fayenz ha scritto per Il Giornale, Il Foglio e Il Sole 24 Ore. Però, senza mai scrivere – semplicemente – di jazz o musica classica. Entrava nel vivo, Franco, e lo faceva con quell’autorevolezza – ricordiamo il saggio “I grandi del jazz” del 1961 e l’edizione italiana dell’autobiografia di Duke Ellington (“La musica è la mia donna”) – che tutti gli riconobbero: nel 1992 il Brass Group di Trapani gli conferisce il premio «Una Vita per il Jazz», nel 2006 il Blue Note di Milano gli riconosce il contributo decisivo alla diffusione del jazz in Italia, dal 1998 al 2002 è consulente del Ministero per i Beni e le attività culturali. Seguì Umbria Jazz sin dagli esordi e di quel festival diventò, e rimase, sempre grande amico. Padovano di nascita, cultore dell’improvvisazione che porta alla perfezione, uomo di cultura coltivata attraverso quel jazz che è garanzia di libertà, Franco Fayenz è stato un esempio per tutti coloro che iniziavano a muovere i primi passi nel mondo della critica musicale. Sottoscritto compreso, che durante la collaborazione con la Splasc(h) Records di Arcisate, ai tempi di Peppo Spagnoli, ci parlò poche volte. Ma quelle poche volte furono fondamentali.
Davide Ielmini