ROSSINI L’italiana in Algeri, N. Donini, S. Sharma, F. Di Sauro, L. Lagni, M. Marini, P. Gálvez, R. Maturana, S. Tamgolo; Orchestra Sinfonica Rossini, Coro del Teatro della Fortuna, direttore Ferdinando Sulla regia Cecilia Ligorio scene Gregorio Zurla costumi Vera Pierantoni Giua
Fano, Teatro della Fortuna, 5 febbraio 2022
Non è stata di certo una scelta casuale, o semplicemente dettata da semplice risparmio, quella di distribuire al pubblico in sala del Teatro della Fortuna di Fano il programma già pronto per L’italiana in Algeri 2020: questo spettacolo avrebbe dovuto vedere la luce proprio nei primissimi giorni del primo lockdown dovuto alla pandemia e, di fatto, fu tra le prime (se non la prima in assoluto) produzioni a essere cancellata ai nastri di partenza, pur con tutte le prove fatte: non risparmio, dicevo, ma un riallacciare i fili di un discorso momentaneamente interrotto per la Rete Lirica delle Marche, che ritorna quindi e porta a compimento un progetto che le tristemente note cause di forza maggiore dovute all’emergenza sanitaria avevano di fatto interrotto. Detto questo e registrata la partecipazione festosa del pubblico alle recite andrà però anche notato che il nuovo allestimento, con regia di Cecilia Ligorio, non è sembrato in grado di gestire al meglio il dirompente comique absolu di cui è intessuta l’opera: niente di male a cambiare l’ambientazione spostandola in un ipotetico Cabaret Algeri degli anni ’30 ma, al di là del fatto che non si capisce bene cosa possa aggiungere questa ambientazione a una migliore ricezione del lavoro, è spiaciuto notare come tutti i momenti potenzialmente più comici e divertenti siano stati se non sprecati quantomeno sviliti con gag di bassa lega, che più che al Cabaret facevano pensare al nostrano Bagaglino (sensazione confermata in pieno col vestito da Pappataci, in pieno stile Signora Leonida, di Mustafà nel Finale). Oltretutto, per giustificare la narrazione di una vicenda radicalmente diversa dal libretto originale, si è intervenuto in maniera non sempre fluida tagliando parecchi recitativi e aggiungendo alcuni monologhi dedicati al personaggio aggiunto dell’impresario, a volte inconcludenti e persino irritanti, a dispetto della bravura dell’attore Simone Tangolo.
Un allestimento, quindi, sostanzialmente irrisolto, che ha lasciato un po’ abbandonati a loro stessi i giovani cantanti, buona parte dei quali proveniva dai ranghi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda” di Pesaro. È il caso del Mustafà fin troppo chiaro di Nicolò Donini, che è attore spiritoso ma da risentire in altro contesto e in altro repertorio, così come del Lindoro di Shanul Sharma, educata vocina di tenore leggero spesso spinta al limite dall’acutissima tessitura del ruolo. Più a fuoco le prestazioni del Taddeo di Peter Sokolov (nonostante l’imbarazzante costume quasi adamitico da Kaimakan), dell’Elvira di Giorgia Paci, della Zulma di Mariangela Marini e del notevole Haly di Pablo Gálvez. Quanto alla protagonista, Francesca Di Sauro, si lodano il colore ambrato e lo spirito della caratterizzazione del personaggio, a dispetto di alcune variazioni un po’ avventurose (come alla chiusa del Rondò) e di una coloratura sempre tendenzialmente di grazia e mai di forza, formando un bizzarro contrasto con la mise da gatta dominatrice Bdsm armata di frusta del Finale I. A capo di un’Orchestra Sinfonica Gioachino Rossini non al massimo della forma (ahimè, i corni nell’aria di Lindoro…) la direzione di Ferdinando Sulla ha cercato di imprimere alla narrazione un ritmo adeguato, concedendosi qualche ricercatezza nei tempi e, in generale, dimostrando un solido professionismo, al pari della buona prova del Coro del Teatro della Fortuna guidato da Mirca Rosciani. Al termine applausi convinti da parte di un pubblico comunque divertito.
Gabriele Cesaretti
Foto: Luigi Angelucci