BACH Oratorio di Natale BWV 248 soprano Sunhae Im contralto Bernarda Fink tenore Martin Lattke basso Dominik Köninger B’Rock Orchestra, RIAS-Kammerchor, direttore René Jacobs
Milano, Basilica di San Marco, 16 dicembre 2014
René Jacobs incise nel 1997 una versione di riferimento dell’Oratorio di Natale di Bach, fra le migliori fra quante si definiscono “filologiche” (che poi, fra Harnoncourt e Jacobs c’è un abisso, quanto a punti di partenza e soluzioni musicali trovate…) e che, personalmente, riascolto sempre con estremo piacere, benché non pari alla vera, intima gioia che la storica versione di Richter del 1965 mi procura ogni volta che inserisco nel lettore i cd: scelta antiquata, fuori moda? Non credo proprio! Ma torniamo a Jacobs: in quell’incisione disponeva di una vera “macchina da guerra” sonora come l’Akademie für Alte Musik di Berlino (oltre che del RIAS-Kammerchor, presente anche ieri sera a Milano) e di un eccellente quartetto di solisti, capitanato da una giovane Dorothea Röschmann. Ne risultava una lettura incredibilmente vivida, dai tempi rilassati ma sfumata in una amplissima paletta di colori pastello, cullante e ricchissima di sfumature, che trovava nei corali, incredibilmente “giusti” per lo stacco dei tempi e l’ampiezza di respiro, il cuore espressivo di tutta la partitura. Ritornando all’Oratorio dopo tanti anni, Jacobs partiva sempre da lì, dalla mobilità poeticissima dei corali, che risuonavano di una fede profonda e semplice, ma molto diverso era il contorno, per così dire: anzitutto perché la B’Rock Orchestra, complesso fondato nel 2005 a Gand “con l’intenzione di imprimere uno stile più moderno al mondo della musica antica”, sarà forse moderno ma non certo inappuntabile, viste le incertezze della prima tromba, dai corni e persino dalla spalla – almeno in “Schließe, mein Herze” fra note calanti e mancato rispetto delle notazioni di legato e staccato. Non fraintendiamo: suonano bene, generalmente, e rendono con molta diligenza gli effetti cercati da Jacobs, che vuole brillantezza nelle grandi pagine corali, urgenza drammatica in molte arie (ma il sublime terzetto della quinta cantata, nonché altri momenti analoghi, avrebbero a mio avviso guadagnato da un tempo meno incalzante) e una grande varietà di accenti e fraseggi. Ma il contrasto, invece, con la sublime precisione del RIAS-Kammerchor (arricchito quasi sempre dalla partecipazione dei quattro solisti) era piuttosto evidente. Questo Oratorio di Natale di Jacobs non cerca mai la facile commozione, l’effetto pastello, neppure nella Pastorale che apre la seconda cantata, innervata da una singolare lucidità di linea, e anche i cantanti seguono con convinzione questa linea interpretativa: lo si vede, ad esempio, da come il tenore Martin Lattke affronta i recitativi dell’Evangelista, con l’urgenza della narrazione che va talora a scapito della delibazione degli affetti. E anche nelle arie, ben cantate, qualche sfumatura in più sarebbe stata gradita. Sunhae Im è una cantante-feticcio di Jacobs, che spesso la impiega in ruoli troppo superiori alle sue possibilità: non era questo, per fortuna il caso, poiché la voce della sudcoreana è luminosa, precisa e genericamente espressiva. Il migliore, quanto ad emissione, mi è parso l’ottimo basso Dominik Köninger, mentre la vocalità di Bernarda Fink, pur sempre elegante, è ormai un po’ stanca e consunta. Ma al di là dei rilievi critici, va ringraziato il Quartetto per aver portato, come da tradizione, questo sublime capolavoro a Milano, continuando una tradizione benemerita e che la città evidentemente apprezza, vista la quantità di pubblico presente e gli applausi da esso elargiti.
Nicola Cattò
© Vico Chamla