CHERUBINI Ouverture da Medée RESPIGHI Il tramonto per voce e orchestra d’archi CHAUSSON Chanson perpétuelle op. 37 per soprano e orchestra BIZET L’Arlésienne (pot-pourri dalle due Suites), Carmen (pot-pourri dalle due Suites) soprano Anna Caterina Antonacci Filarmonica Arturo Toscanini, direttore Alessandro Bonato
Parma, Piazza del Duomo, 16 giugno 2023
Piazza del Duomo a Parma sarà pure grave di storia e carca di suggestioni (ma quel Battistero perpetuamente, insanabilmente malato, di nuovo avvolto in tubi, innocenti solo di nome…), però per farci musica non è mai un’idea buona, perché è una piazza sorda. Si pensò ovviare all’impiccio sperimentando un reclamizzatissimo nuovo sistema d’amplificazione per mezzo di — si disse — amplissima e super dettagliata campionatura di suoni. Insomma siamo andati in piazza per ascoltare un disco! E un disco inciso malissimo, ché i suoni dell’orchestra parevano sortiti da un sintetizzatore elettronico e la voce di Anna Caterina Antonacci messa a nudo nelle ferite d’una carriera quarantennale senza rendere giustizia ai meravigliosi giochi d’ombre che l’artista disegna con supremo virtuosismo per mezzo del suo canto. La signora Antonacci è tra i davvero rari artisti vocali capaci di intendere il senso più vario di ogni singola parola ch’essa intona, cesellandola, colorandola, significandola con una fantasia sterminata ed una profondità di interpretazione che non ha guari, senza bisogno di sottolinearla come a dire: “avete capito?” Grazie al suo virtuosismo – ma vorrei dire: alla sua intelligenza — di dicitrice, l’Artista riuscì persino a dare un senso ai cervellotici contorsionismi dannunziani (ma il testo è di Shelley, martoriato dalla, non men che la musica, macchinosa traduzione di Roberto Ascoli) cui Respighi ricorre per impastare la sua imitatio Claudii Franzosii, che però gli riesce male lo stesso. La voce è maltrattata, con lungaggini metriche che rendono difficoltoso l’appoggio ed il fraseggio (cose che a Debussy non capitavano mai), e con una tessitura che — anche a contralti più fondi dell’Antonacci – rende problematico l’espandersi, mentre l’orchestra è confinata ad un accompagnamento ripetitivo, inerte (tantopiù nella direzione priva di nerbo del giovane Bonato), di mediocre supporto. Appena la cantante intonava la Chanson perpétuelle di Chausson, che per la voce sapeva scrivere, questa tornava a librarsi per l’aere e ad incantare con le sue infinite gradazioni di suoni.
L’Antonacci ha salutato col bis della Habanera dalla Carmen, ed è stata l’Habanera dei nostri sogni, delibata a fior di labbro, come una canzonetta sussurrata all’orecchio. Qualcosa di simile aveva fatto Jessye Norman con Ozawa, ma in disco e con quel residuo di ‘freddezza’ e matronalità che la Grande Jessye non seppe mai scrollarsi di dosso. L’arte seduttiva di Carmen, con l’Antonacci viene, invece, esposta al sole e conquide, irresistibilmente, ritraendosi: l’arte suprema e perduta del Caf’ Conc’, con la fantasia ammaliante del parlar cantando quale solo una Yvonne Printemps, a mia memoria, seppe inverare col suo charme.
La seconda parte del concerto era per bocche buone, ed io ho invece il palato difficile. Mi limito a notare che i passi vivaci erano squadrati (come squadrata era sonata l’ouverture della Medea, ma quella lo è di suo, al massimo si poteva chiedere un intervento attenuatore) e quelli lirici languivano, smarriti in un calligrafismo inerte e incapace di vedere, oltre il singolo segno, la trama generale del farsi, anche drammatico, anche emotivo, della frase musicale. Ma attenzione, al concerto era presente una schiera di affiliati che aggrediscono chi non manifesti entusiasmo pari al loro. A me capitò un sonoro “vaffa…” (letterale) dal vicino di posto, condito da insulti in un idioma pittoresco per avere omesso d’applaudire al termine dell’Arlesienne. Giusto un poco di sale, in una serata che ne aveva avuto troppo poco. Fino all’immancabile bis con la Sinfonia del Nabucco (a Parma il “Nabuco” devono sempre infilarlo), perché “siamo a Parma e Verdi a Parma ha risieduto” [sic].
Bernardo Pieri