PUCCINI Madama Butterfly, C. Costea, G. Lanza, A. Sprovieri, G. Varano, D. Balzani, S. Pugliese, M. Signorini; Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, direttore Giampaolo Bisanti, regia Giulio Ciabatti, scene e costumi Pier Paolo Bisleri, luci Claudio Schmid
Brescia, Teatro Grande, 5 ottobre 2014
Che sorpresa assistere a una rappresentazione di Madama Butterfly e scoprire diversi frammenti musicali e porzioni di libretto che non corrispondono a ciò che conosciamo! L’effetto è paragonabile a quello di riascoltare una celeberrima poesia, magari diligentemente imparata a memoria negli anni di scuola, per poi accorgerci che nel frattempo il testo è mutato. Gli specialisti di Puccini sanno che di Madama Butterfly esistono più versioni d’autore: la partitura entrata definitivamente in repertorio è il risultato di parecchi tagli e di poche aggiunte. Quando la tragedia giapponese, dopo essere stata clamorosamente fischiata alla Scala di Milano, ebbe la sua risurrezione al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904, il suo testo era già in larga misura consolidato, ma non ancora definitivo poiché l’incontentabile musicista continuò a limare la sua creazione per diversi anni. Riportare indietro le lancette dell’orologio e vedere com’era Butterfly prima delle ultime modifiche può essere istruttivo. Ed è quello che ha fatto il Teatro Grande di Brescia in occasione del 110° anniversario del primo trionfo dell’opera, proponendo la seconda redazione pucciniana scritta appositamente per il nuovo debutto nella città lombarda dopo il fiasco scaligero. Niente paura: anche in questa versione le pagine fondamentali dell’opera ci sono tutte, ma con parecchi dettagli inediti. Per esempio, quando all’inizio del primo atto Goro presenta la cameriera, il cuoco e il servitore della futura sposa, Pinkerton li chiama in tono sprezzante “Muso primo, secondo e muso terzo”: c’è qualcosa di shakespeariano in questa commistione di registri, anche se le sforbiciature del compositore aiuteranno gli spettatori a meglio concentrarsi sul predominante aspetto lacrimogeno. Oppure, poco prima che il coro a bocca chiusa termini il primo quadro del secondo atto, nella redazione bresciana Butterfly dice alla servente “Suzuki, fammi bella”, che fa pendant con il superstite “Non son più quella!” in una successione di versi rimati: Puccini avrà avuto buone ragioni drammaturgico-musicali per eliminare la prima frase, ma un suo ripristino ci fa capire qualcosa di più a livello testuale. Peccato che nella recita di Brescia, oltre a poter leggere gli utilissimi sovratitoli, non fosse disponibile un libretto con tutte le varianti rispetto all’edizione standard. Rimane comunque il merito di un’operazione meritoria che ha trovato una realizzazione molto valida sul piano artistico. Il soprano d’origine rumena Cellia Costea è stata lungamente applaudita: ha ottime qualità teatrali e una voce interessante. Pur con qualche occasionale difetto di dizione, ha avuto il pregio di sottolineare il significato espressivo delle parole, evidenziando un talento drammatico non comune. Nella regia di Giulio Ciabatti la sventurata protagonista della tragedia giapponese ha correttamente praticato il “Jigai”, ovvero il suicidio rituale femminile mediante il taglio della vena giugulare, da non confondersi con il più noto “Harakiri” riservato ai guerrieri. Di buon livello la Suzuki di Giovanna Lanza e il Console di Domenico Balzani. Misurato, anche se talora sovrastato dal suono dell’orchestra, il Pinkerton di Giuseppe Varano. Tutto lo spettacolo aveva un’apprezzabile naturalezza, senza forzature, e la dimensione visiva ben si coniugava con le scelte musicali dell’ottimo direttore d’orchestra Giampaolo Bisanti. Scene e costumi formavano un appagante colpo d’occhio: era sì un Giappone convenzionale, forse non sempre attento ai più fini dettagli filologici, ma sapeva rendere la poesia di Butterfly avvalendosi anche di un’illuminazione appropriata, delicata e allusiva.
Marco Bizzarini