HAYDN Quartetto in sol maggiore op. 76 n. 1 Hob.III.75 BARTÓK Quartetto n. 3 SZ 85 MOZART Quartetto n. 14 in sol maggiore K 387 Quartetto Hagen
Milano, Conservatorio “G. Verdi”, Sala Verdi, 28 novembre 2023
Il Quartetto Hagen si è presentato in sala Verdi, a Milano, per la stagione del Quartetto, con un programma che descrive un percorso culturale e di analisi ascoltabile, e godibile, a differenti livelli interpretativi ed emotivi.
Vi è stata la possibilità di seguire l’evoluzione del genere quartettistico, dai suoi due vertici settecenteschi ad uno dei massimi compositori del secolo scorso, in un gioco di rimandi e sottintesi raffinato. L’equilibrio tra i movimenti e all’interno degli stessi raggiunto da Haydn e Mozart viene condotto ad un passo successivo da Bartók, il quale fonde in un discorso unitario, sia a livello tematico che ritmico quanto è stato fondato dai suoi predecessori. Il dialogo stesso tra le parti ha il suo incipit nella frase, scherzosa, del violoncello dopo i tre, teatrali, accordi introduttivi. Dalle prime battute prende il via un congegno di tersa chiarezza che trova anche negli accenti delle note ribattute nell’Adagio sostenuto, lucidità e fiducia, risolvendo nel Finale l’architettura sulla quale è costruito. La contrapposizione ritmica, l’accostare cantabilità e distensione a frasi incalzanti e tese trova l’apice nel Terzo quartetto di Bartók che riassume le tendenze musicali scaturite dal tardo ottocento sino all’esplosione di inizio secolo, per proiettarle verso nuove possibilità di scrittura. Tale è il laboratorio creativo del quale si può godere nell’ascolto della complessa pagina. Quasi che il compositore ungherese abbia voluto mettere un cardine di svolta dal quale partire verso nuovi orizzonti creativi. Si ha quindi la sensazione di veder scorrere, nel senso fisico del termine, la storia attraverso le note: dall’angoscia espressionista, al positivo rigore classicista, passando attraverso la sperimentazione inesausta beethoveniana e all’eco di antichi canti sino a giungere allo sperimentalismo di ricerca sugli intervalli e sugli armonici: tutto ciò fuso in poco più di un quarto d’ora di ascolto.
Per poi accorgersi che quasi centocinquant’anni prima ci fu chi, a Vienna, seppe portare agli estremi allora consentiti il genere quartettistico, inserendo nell’Andante cantabile quanto il suo genio l’obbligava a creare, quel colpo d’ala verso mondi ignoti ai quali Mozart stesso ci ha condotto, stupiti e smarriti, come spesso accade di fronte all’indicibile. Quello stupore creativo che cattura, lasciando secondi di silenzio prima di applaudire, come è capitato al termine delle ultime, ironiche, battute.
Il quartetto Hagen ha narrato questo racconto con l’equilibrio timbrico e la ricerca di perfezione tra le parti che da sempre lo caratterizzano, aggiungendo note di umanità nella ricerca di piani sonori raffinati e variazioni impercettibili nell’intensità del suono, tale da apparire prodigiosa l’impalpabilità intonatissima di alcuni momenti. Gli applausi entusiasti al termine di ogni singolo brano sono diventati un caldo tributo alla loro arte al termine del quartetto mozartiano. Le singole chiamate sul palcoscenico si sono trasformate in una sorta di rito, con la violista Veronika Hagen a condurre le uscite e ingressi degli altri componenti e gli impercettibili rallentando nei movimenti degli stessi per lasciarle il passo. La cavatina beethoveniana regalata come bis ha dimostrato come l’emozione possa nascere anche dalla perfezione tecnica, catturando ad ogni pianissimo e con l’arcata della frase il silenzio commosso di tutto il pubblico.
Emanuele Amoroso
(Foto: Davide Consonni | Marta Valdegrani, Ied Milano)