ROSSINI Cenerentola L. Magallanes, C. Sgura, G. Delle Grazie, S. Porcellini, C. Dellaere, M. Urbanowicz, Huigang Liu; Orchestra dei Colli Morenici direttore Alessandro Vitiello Coro VOC’è, Maestro del coro Alberto Spadarotto regia Bepi Morassi scene, costumi e luci a cura della Scuola di Scenografia e Costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia; scene Bruno Antonetti costumi Anna Fabris e Ester Campagnaro
Vicenza, Teatro Olimpico, 14 settembre 2024
“Vicenza in Lirica”, giunto quest’anno alla dodicesima edizione, è un festival la cui riuscita si deve alla competenza, alla bravura e alla grande generosità del suo direttore artistico, Andrea Castello. Un progetto ampio che comprende non solo l’esecuzione di un’opera e di concerti, ma anche master class con la partecipazione di grandi cantanti, tra cui Sara Mingardo e Barbara Frittoli, con lo scopo di formare una nuova generazione di cantanti. E da quest’anno anche con una propaggine mantovana per il neonato Sabbioneta Chamber Opera Festival.
La produzione lirica di quest’anno ha visto coinvolti i vincitori del Concorso “Tullio Serafin”, chiamati a interpretare i ruoli dell’opera scelta per questa edizione, La Cenerentola di Rossini. Giovanissimi anche gli scenografi e i costumisti, allievi della Scuola di Scenografica e Costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, chiamati a cimentarsi con l’ideazione e la messa in scena del capolavoro rossiniano. Una straordinaria palestra e un’opportunità rara di crescita professionale. Merito anche questo del festival vicentino, che lo rende pressoché unico nel panorama nazionale.
A dirigere il palcoscenico di uno dei più bei (e difficili) teatri del mondo era un regista di lungo corso, il veneziano Bepi Morassi, che ha riletto il dramma giocoso di Rossini come fosse la quintessenza del comico e del buffonesco da commedia dell’arte. In un melodramma dove, semmai, si mescolano in maniera sublime comico e malinconico, specie nella figura di Cenerentola. Del tutto trascurati gli incerti turbamenti erotici del principe Ramiro o la ragione etica impersonata dal vagamente lugubre maestro Alidoro. Una girandola incontenibile, quella voluta da Morassi, e alla lunga prevedibile, di ammiccamenti e balletti come si vedevano nelle regie di un tempo ormai lontano. O con ben altra raffinatezza, nelle straordinarie regie rossiniane di un maestro come Jean-Pierre Ponnelle. Tutti si divertono come matti, cantanti e pubblico, e la macchina, seppure con qualche leggero intoppo, appare ben oliata e capace di centrare l’obiettivo: divertire, costi quel che costi.
C’è da dire che le semplici ma funzionali scenografie ideate da Bruno Antonietti e i fantasiosi costumi di Anna Fabris e Giulia Negrin erano quanto mai azzeccati: due bauli da commedia dell’arte ai lati del palcoscenico, che si aprono mostrando una teoria di vestiti, quelli delle due sorellastre di Cenerentola, e uno specchio da trucco; oppure fanno da supporto per la quadreria improvvisata del palazzo di don Ramiro. Al centro, tre moduli lignei a formare un piccolo palcoscenico, come una sorta di sgangherato teatrino, che diventa all’occorrenza una tavola imbandita o un’enorme scrivania della stanza del principe. Figuranti di scena si danno un gran da fare per muovere i tre moduli separandoli e orientandoli di volta in volta in maniera diversa, contribuendo a creare un’inarrestabile girandola di movimenti scenici.
In questo contesto si muoveva la compagnia di canto, formata tutta da giovani, alcuni al loro debutto. Pienamente nella parte, indiavolate scenicamente e vocalmente a fuoco, le due sorellastre, Clorinda impersonata da Silvia Porcellini e Tisbe con la voce di Caterina Dellaere: ironiche, autoironiche e divertenti, anche se alla lunga manierate nella ripetizione di moduli stereotipati. Gianpietro Delle Grazie ha proposto uno stralunato don Magnifico, macchiettistico, di grande presa teatrale: non a caso il pubblico ha apprezzato le sue doti attoriali, unite ad una voce robusta ed agile per una parte nella quale il sillabato stretto la fa da padrone.
Attore disinvolto e personaggio caciarone e smargiasso il Dandini di Carlo Sgura, di rosso squillante vestito, pronto a prendere le parti del suo padrone e ad essere concupito dalle due sorellastre. A fargli difetto, però, la potenza vocale e il timbro, compensati dall’agilità e dalla spigliatezza scenica.
Alidoro era il basso-baritono cinese Huigang Liu, in elegante doppio petto gessato. Diversamente dagli altri, il suo era un personaggio dai movimenti misurati, dalla gestualità contenuta, una sorta di deus ex machina cui è affidato il compito di risolvere l’intrigo a suo piacimento. Un personaggio appartenente ad un rango diverso dal resto della ciurma, quello nobile di don Ramiro. Quest’ultimo era il tenore venezuelano Luis Magallanes. Con la sua bella voce di tenore chiaro, sicura nelle agilità ed estesa, ha tratteggiato un principe innamorato, quasi a disagio in quel contesto di follia disorganizzata. Sicuramente un cantante da tenere d’occhio, dalle grandi potenzialità.
Più debole la protagonista, il mezzosoprano polacco Magdalena Urbanowicz, che tratteggia una Cenerentola fragile, per quanto elegante, con una voce non particolarmente corposa e omogenea nei diversi registri, più di una volta coperta dall’orchestra. Il celebre rondò finale “Non più mesta accanto al fuoco” non è quella girandola di vocalizzi, che ci si aspetterebbe, con cui Cenerentola afferma il suo diritto di essere donna e la sua rivincita finale sulle sorellastre e sul patrigno. Risulta cantato un po’ sulla difensiva, però nel complesso accettabile. C’è infine da citare il coro amatoriale VOC’è, un filo sgangherato (vocalmente e nella recitazione) ma non del tutto fuori luogo in questo contesto registico.
L’orchestra mantovana dei Colli Morenici era diretta da Alessandro Vitello, noto anche per essere il marito di Daniela Barcellona, rossiniana di vaglia, presente in prima fila all’Olimpico per seguire i cantanti, cui ha elargito consigli in occasione delle prove. Lo spirito del dramma giocoso di Rossini c’era tutto, brio e scatto ritmico, nonostante alcuni limiti dell’orchestra e qualche scollamento, specie nel primo atto. Talvolta il volume sonoro arriva a coprire le voci, ma si sa che nel teatro palladiano non è sempre facile raggiungere un perfetto equilibrio.
Come si è detto, applausi convinti per tutti a segnare il pieno successo dell’edizione 2024 del Festival vicentino.
Stefano Pagliantini
Foto: Edoardo Scremin