GLUCK Iphigénie en Tauride A.C. Antonacci, B. Taddia, M. Süngü, M. Patti, M. Leung; Orchestra I Pomeriggi Musicali, Coro OperaLombardia, direttore Diego Fasolis regia Emma Dante scene Carmine Maringola costumi Vanessa Sannino
Como, Teatro Sociale, 19 novembre 2021
Una grande artista, se è grande davvero, non invecchia mai veramente: cambia semplicemente i modi in cui rivela la sua statura artistica. Questo è più che mai vero per Anna Caterina Antonacci, protagonista della Iphigénie en Tauride messa in scena per il circuito OperaLombardia e da me vista nella tappa comasca: a 60 anni la voce si è fatta più corta in acuto e in genere meno imperiosa, un po’ più grigiastra nella palette timbrica, tanto più nella scena di apertura. Ma come e più di sempre fa venire i brividi — in senso positivo, ovviamente — la raffinatezza e l’intensità di un accento che scava nelle sillabe del testo e le fa palpitare con una perfetta corrispondenza di adeguatezza stilistica e potenza emotiva. Il racconto della morte di Agamennone, che Ifigenia fa durante il primo atto, è un momento indimenticabile, ma anche la grande aria che chiude il secondo (“Ô malhereuse Iphigénie”), nonostante qualche fatica negli scarti all’acuto, sa unire come forse mai la nobiltà della sacerdotessa di Diana e la sofferenza della sorella di Oreste.
Ma poi la grandezza della Antonacci balena anche nei piccoli dettagli, capaci di illuminare una singola frase: un peccato non sapere rendere a parole quel suo “Mon âme se déchire” (La mia anima si lacera), che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. E poi, oltre alla cantante, c’è l’attrice: capace di aderire come un guanto alla bella regia di Emma Dante, fatta di un classicismo atemporale, fra colonne doriche e prigioni immaginarie, i soliti riferimenti all’infanzia (un po’ abusato l’utilizzo dell’altalena e del doppio di una Ifigenia ragazzina…) e di fusione fra elementi fisici e architettonici. Peccato solo quel parallelismo tra Eumenidi e figure dall’apparenza di suore, uno dei chiodi fissi della regista siciliana. Ma per il resto è gran teatro, anche grazie ad un cast che non si limita alla sola diva, ma propone il raffinato Pylade di Mert Süngü, che patisce la tessitura acutissima del terzo atto (col diapason di oggi, poi…) ma cesella un commovente “Unis dès la plus tendre enfance”, insieme all’Oreste sfumatissimo, interiorizzato e insieme capace di sostenere gli scarti acuti di Bruno Taddia. Non male neppure il Thoas di Michele Patti e la Diana di Marta Leung. Diego Fasolis, sul podio dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, punta ad una lettura teatralmente vigorosa, strumentalmente pregevole, fornendo agli strumenti moderni qualche spezia della prassi esecutiva. Teatro non certo pieno, ma successo calorosissimo.
Nicola Cattò
(Foto: Alessia Santambrogio)