PUCCINI Turandot E. Vesin, R. Ortiz, M. Spotti, A. Villari, A. Ferfecka, A. Verna, E. Iviglia, P. Picone; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma, direttrice Oksana Lyniv regia scene, costumi e video Ai Weiwei
Roma, Teatro dell’Opera di Roma, 25 marzo 2022
Scordiamoci tutto quello che sappiamo di Turandot e prepariamoci a vivere un esperienza in multitasking, l’unica offertaci dal Teatro dell’Opera e dai suoi prescelti Ai Weiwei, regista, e Oksana Lyniv, alla guida dei complessi musicali e vocali.
Perché qui a Roma si è assistito a due spettacoli completamente diversi: uno del “regista lirico” cinese Ai Weiwei, che descrive con scenografia, costumi e, soprattutto, video, le terribili contingenze del mondo con infinite code di rifugiati, rovine causate dalla guerra e sale d’ospedale intasate da pazienti covid, l’altro di Oksana Lyniv, direttrice d’orchestra ucraina che, col suo gesto ampio e chiarissimo, dirige la Turandot di Giacomo Puccini con estrema grazia, eleganza e precisione chirurgica.
Diciamo subito che però non c’è dicotomia fra le cose, anche se le analogie fra le due vicende raccontate sono più immaginabili che concrete. Il racconto del mondo di Ai — è il cognome del regista esule cinese — è quel mondo contemporaneo che i telegiornali quotidianamente ci dipingono, mentre il mondo descritto dalla Lyniv è quello travolgente di passioni e di conflitti che Puccini, assieme ad Adami e Simoni, librettisti, ci raccontano ogni volta con Turandot. A mancare è la fiaba, la dimensione onirica che si trasmuta qui in una grande sfida fra il fantastico e il reale, e dove la realtà, sembra inutile affermarlo, ha la meglio.
Anche il linguaggio musicale sembra trovare una sua determinatissima forma materiale, anche là dove sarebbe più lirico, intenso, determinato dagli affari del cuore più che da quelli del conflitto.
Se c’è, e c’è, quel conflitto è riconducibile agli scontri senza tempo, quelli descrivibili dalla lotta di classe, da quella condizione che da che mondo è mondo racconta di classi subalterne e classi al potere, racconta di un mondo diviso fra poveri che seguono, spesso affascinati dalle immagini che i ricchi gli propongono di sé e, con la violenza, gli impongono. Così, immagino, il regista si crea le analogie fra il disagio che le sue immagini provocano e la fascinazione di un’imperatrice che domina e dirige i suoi sudditi invitandoli a inaudite richieste di violenza (i cori rivolti all’intervento del boia o la morte invocata per la povera Liù).
Ma, al di là di tutto, anche l’interpretazione musicale della Lyniv non si discosta molto da questa prospettiva. Ella si fa esegeta di un’opera che, privata degli aspetti onirici, è narrazione esaustiva del terrore imposto dall’impero e voce strozzata del popolo. La mancanza poi di quel finale che, erroneamente, la direttrice ucraina ritiene non concepito dall’autore, porta alla mancanza di quel lieto fine che rivendica indubitabilmente l’affermazione dell’amore sulle questioni contingenti e lo scioglimento delle ritrosie della Principessa di gelo. Non avere scelto fra Alfano e Berio per avere un finale risolto, non concede affatto di stravolgere quel concetto che era alla base di tutti gli appunti rinvenuti a Puccini nei tempi della sua morte.
Orchestra all’altezza del compito e Coro corretto, ma piuttosto piegato alle esigenze della virilità dell’intenzione drammatica della Lyniv; se la cava benissimo Ewa Vesin, nei panni di una Turandot che sottolinea bene i passaggi più lirici della tessitura e che convince quando si inerpica negli acuti emessi con sicurezza e volume. Al suo fianco un Angelo Villari ostinato a ribadire la sua volontà ad affrontar la prova, ma meno protagonista nei duetti e leggermente deficitario nel “Nessun dorma”. A presentare una voce suadente, ben timbrata e incline a tutte le declinazioni che il ruolo di Liù impone, Adriana Ferfecka, soprano trentenne polacca, che è l’unica a ricevere un convinto applauso a scena aperta dopo il “Signore ascolta”. Ping, Pong e Pang se la cavano discretamente, con il Pong di Pietro Picone che non dimostra voce sufficiente per questo ruolo, che è sì complementare ma significativamente determinante all’equilibrio dell’opera.
Successo chiarissimo e applausi convinti da un teatro dell’Opera esaurito in ogni ordine di posti.
Davide Toschi
Foto: Fabrizio Sansoni
[Sul prossimo numero di MUSICA, la recensione relativa al primo cast a firma di Maurizio Modugno]