BRITTEN Concerto per violino e orchestra in re minore op. 15 BERLIOZ Symphonie fantastique op. 14 violino Isabelle Faust Filarmonica della Scala, direttore Daniel Harding
Teatro alla Scala, Milano, 13 ottobre 2019
Pochi giorni fa la Filarmonica della Scala ha lanciato — grazie al munifico sostegno di Allianz — un abbonamento a 100 euro per 5 concerti riservato a spettatori under 26, che dovrebbero favorire il ricambio generazionale di un pubblico dall’età media di solito non inferiore a quella delle partiture presentate in concerto; ieri sera, poi, Isabelle Faust e Daniel Harding hanno chiuso con grande successo la stagione 18/19. La Fantastica era risuonata al Piermarini poche settimane fa, con Zubin Mehta, per l’inaugurazione di Mito (vedi recensione qui): una lettura stanca e routinaria, certamente surclassata da quanto fatto sentire ieri dai professori scaligeri, molto concentrati e compatti. Harding ama questa partitura e la sua lettura non è stata, previdibilmente, così distante da quella offerta sempre a Milano, al Teatro dal Verme, nell’aprile 2015 con la sua Orchestra della Radio Svedese: equilibrio formale, una certa ritrosia ad indagare l’aspetto più onirico e unheimlich dell’affascinante partitura, cura minuziosissima della concertazione e dell’equilibrio fra sezioni. In realtà, essendo l’orchestra milanese molto diversa da quella svedese, nell’iniziale “Rêveries, Passions” mi è sembrato di cogliere una scelta verso una lettura più passionale e torbidamente romantica della partitura berlioziana: ma già dal successivo “Un bal” la scansione ritmica regolare, ma sempre supportata da un’estrema ricchezza di accenti, ha chiarito la “classicità” della lezione di Harding. Il quale, però, vivifica questa apparente regolarità con la capacità di cambiare colori e atmosfere in un brevissimo lasso di tempo: paradigmatica, in tal senso, è stata la sfumatissima “Scène aux champs”: e se, come detto, il direttore inglese non ha il coraggio, o meglio la volontà, di mollare le briglie nei due deliranti movimenti finali, di sporcarsi le mani con gli aspetti più coraggiosi e rivoluzionari dell’estetica berlioziana, ammirevole rimane la chiarezza della concertazione, specie nel celebre sovrapporsi dei due temi nelle ultime battute.
Se ottima è stata la resa della Fantastica, semplicemente eccezionale mi è parsa la prova di Isabelle Faust nel Concerto per violino di Britten, capolavoro ancora troppo poco eseguito (anche per una fama di difficoltà estrema, forse superiore alla realtà): lo è stata per l’immacolata precisione tecnica, per la lucentezza di un suono quasi incorporeo eppure evocativo, per l’omogeneità della cavata, fino agli armonici più scomodi, e per un’eleganza dolente che rifugge sempre da scelte facili o ovvie. E l’asciuttezza di Harding, accompagnatore sempre eccellente, andava naturalmente nella stessa direzione di quella della Faust, culmine un secondo movimento che pareva una danza macabra cristallizzata e un finale che, nella sua desolata elegia, davvero anticipava le livide brume marine del Peter Grimes. Grande successo e un bis molto bello di Nicola Matteis, compositore e violinista napoletano vissuto tra Sei e Settecento.
Nicola Cattò