La favola crudele di Rusalka in un nuovo allestimento a Praga

DVOŘÁK Rusalka K. Kněžíková, M. Malafij, P. Kellner, L. Hilscherová, E. Pavlů, Y. Kinjo, A. Grach, A. Vomáčková; Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Praga, direttore Tomáš Netopil regia SKUTR scene Martin Chocholoušek costumi Simona Rybáková

Praga, Teatro Nazionale, 8 marzo 2024

Nel numero di aprile di MUSICA leggerete dell’evento musicale forse più importante di questa primavera a Praga: l’inizio della serie di esecuzioni della Valchiria di Wagner in forma di concerto per il progetto “Wagner Cycles”, che mira a ricostruire le condizioni organologiche, vocali, di pronuncia e molto altro dell’epoca del compositore. Già Stefano Pagliantini aveva riferito, l’anno scorso, dell’esito dell’Oro del Reno, e ora è la volta della prima giornata della Tetralogia (ci sarà anche un’intervista estremamente interessante a Kent Nagano, direttore di questo Anello). Ma intanto, l’8 marzo, il Teatro Nazionale presentava la prima esecuzione di un nuovo allestimento dell’opera forse più eseguita del repertorio ceco (certamente all’estero: in patria se la gioca con la Sposa venduta di Smetana), la Rusalka di Dvořák: dalle utili informazioni contenute nel programma di sala si deduce che, partendo dalla prima esecuzione del 31 marzo 1901, questo è il quattordicesimo allestimento dell’opera, il settimo dal secondo dopoguerra. Sei di essi hanno avuto una quantità di recite tra le 107 e 150, e una durata tra i 4 e i 14 anni (l’ultimo prima di questo, 141 recite dal 2009 al 2023, firmato da Jiří Heřman), mentre quello di Václav Kašlík, con le scene di Svoboda, è apparso per la quantità record di 642 recite, dal 1960 al 1991: numeri, questi, che riaffermano la centralità del capolavoro di Dvořák nel panorama musicale ceco, e anche — come suggerisce un interessante saggio nello stesso programma di sala — una prospettiva registica che, dalla dimensione puramente illustrativa, quasi sempre sfarzosa e iper tradizionale, ha lentamente virato verso l’essenzialità e uno scavo psicologico sempre più capillare. D’altronde, il tema dell’opera è essenzialmente il conflitto fra i due mondi, quello subacqueo di Rusalka, dello spirito delle acque suo padre e della strega Ježibaba contro quello superno, del Principe e della Principessa straniera (che, significativamente, non hanno nome): la fonte letteraria del libretto di Jaroslav Kvapil è d’altronde nelle fiabe — Undine di Friedrich de la Motte Fouqué e La sirenetta di Andersen — e non serve avere letto Propp per intuire il grumo di misteri, paure, silenzi e archetipi che le fiabe contengono. Poi, certo, l’anno scorso Emma Dante era andata controcorrente, proponendo — assai felicemente — per la Scala un allestimento (leggi qui la mia recensione) pieno di ironie, leggero e non banale: ma la direzione in cui è andata l’opera di Dvořák negli ultimi decenni è un’altra. Ora, a Praga, è la volta del duo SKUTR, che unisce i registi Martin Kulučka e Lukáš Trpišovský, dal 2022 direttore del Teatro Nazionale di prosa nella capitale ceca: i quali hanno puntato sul Regietheater più spinto. Confesso, mentirei se dovessi dire di avere capito il senso di quella scena fissa chiusa su tre lati che (oltre che favorire la già splendida acustica del teatro praghese) rappresenta un paesaggio nebbioso con alberi appena visibili, quel pavimento lucido (il fondo del lago, evidentemente) da cui salgono e scendono dei pontili, la casetta quasi giapponese da cui pesca il Principe, e il cui modellino nel finale terzo viene dato alle fiamme, i personaggi buffi del Guardacaccia e del Cacciatore avvolti in enormi costumi di gommapiuma, il continuo moltiplicare delle azioni dei protagonisti con vari figuranti e ballerini.

Il Principe

Certo, la sensazione complessiva era di un mondo in cui la divisione tra “sopra” e “sotto” era solo fittizia, tutto essendo coinvolto da una sorta di nichilismo esistenziale, che trascina con sé ogni possibilità di felicità, ma davvero la sensazione di prevaricazione e di mancanza di dialogo con la partitura era difficile da scansare: però nessun fischio ha colpito i due registi, e quindi devo dedurre che il tutto sia piaciuto. O che gli spettatori hanno capito più e meglio di me. Certo è che, dal podio, Tomáš Netopil sembrava condividere una visione così cupa e pessimista, con una lettura lontanissima dalla tradizione: orchestra estremamente trasparente, senza facili indugi cantabili, cura dei dettagli e un incalzare quasi mozzafiato anche nelle parti più decorative, come le danze del secondo atto. Ma il tutto era realizzato con tale cura e tale eccellenza musicale che davvero ha permesso di dire qualcosa di nuovo su un’opera che, a Praga, è come per noi italiani una Traviata o una Tosca (praticamente contemporanea: ma questo è un altro discorso…). Tutti i cantanti coinvolti mostravano estrema confidenza con i propri personaggi: e se il tenore Michajlo Malafij, era certamente il meno convincente — linea non sempre sostenuta in acuto, una certa genericità di fraseggio — non si poteva non rimanere affascinanti dall’intensa Rusalka di Kateřina Kněžíková, perfettamente convinta nella sua bruciante immediatezza e nell’assenza di bamboleggiamenti della lettura condivisa da regista e direttore. Successo trionfale, in un teatro di rara bellezza.

Nicola Cattò

Rusalka

Foto: Pavel Hejny

Data di pubblicazione: 10 Marzo 2024

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