MAHLER Sinfonia n. 6 Filarmonica della Scala, direttore Lorenzo Viotti
Cremona, Teatro Ponchielli, 19 gennaio 2025
Per la serata inaugurale della Stagione Concertistica 2025 (ribattezzata Musica Crescendo – La Nuova Stagione)del Teatro “Ponchielli” di Cremona, domenica 19 gennaio l’Orchestra Filarmonica della Scala ha proposto un programma interamente dedicato a Gustav Mahler. Un concerto tutto esaurito, o quasi, la Sesta Sinfonia (detta poi “Tragica”) ha inondato i ridotti, ma ben sonori, spazi del teatro cremonese. Il giovane e agguerrito Lorenzo Viotti ha proposto, senza soluzione di continuità, una versione del capolavoro mahleriano piuttosto personale, in cui il punto di forza della sua concertazione è stato, sicuramente, il Finale. Chi si aspettava lacerazioni, grida, “dolorosi parossismi” – in fin dei conti Mahler ha compiuto la sua Tragica in uno dei periodi più idilliaci della sua faticosa vita – atmosfere sulfuree, trasfigurazioni wagneriane profumate di redenzione, sicuramente non le ha potute ritrovate nella lettura di Viotti. Non riesco a comprendere come mai, pur scegliendo tempi non particolarmente veloci, il direttore ci abbia deluso omettendo ex abrupto il ritornello nell’esposizione del primo tempo (Allegro energico, ma non troppo) – privandoci dunque del piacere “perverso” di riascoltare l’estenuante “tema di Alma” ancora una seconda volta – quasi come colto da “ansia da prestazione”, per passare poi a uno Scherzo letteralmente “incollato” al primo movimento: molto ritmico, quadrato, ma poco focoso; talvolta “lezioso”, quindi per nulla grottesco (ottime le prime parti della compagine scaligera, messe completamente a nudo dalla mesmerica scrittura cameristica di Mahler). Breve pausa per accordare gli strumenti e poi la Sinfonia è continuata con quel dono sublime (Andante moderato) che può figurarsi soltanto chi ha avuto la fortuna di poter, anche solo una volta, “toccare il cielo con un dito”: la beatitudine terrena, ovvero la “vita celeste” dei fanciulli protagonisti del Wunderhorn, saldamente ancorata agli affetti terreni, così da sentire pulsare il sangue nelle vene, nonostante si riposi, comodamente a mezz’aria, sopra una nuvola. La visione d’insieme è stata anche qui penalizzata dal dettaglio manierato di certi portamenti e dai frequenti indugi di zuccheroso compiacimento (davvero bravi gli orchestrali a non essersi sfilacciati in talune alternanze di scrittura coloristica-solistica). Il movimento più centrato è stato, come accennato prima, il Finale: un gigantesco tempo in forma-sonata (come l’esposizione), che non porta ad alcun trionfalismo, terminando in tonalità minore, questa volta non per aspera ad astra, ma per i funesti colpi del destino. Viotti ha lavorato sulla visione d’insieme dell’articolato Finale, conferendo unità d’azione alla tragedia presente in tutte le Sinfonie di Mahler e che, proprio nella Sesta, sembra essere quella vissuta dal compositore stesso. Come dicevo, dimentichiamoci i vapori sulfurei che solo gli dei, al loro crepuscolo, sanno irradiare. Il Mahler di Viotti è, forse, ancora troppo ancorato alla forma esteriore della composizione per poter rivelare quel contenuto, così fieramente decadente, da sembrare addirittura trionfalistico.
Michele Bosio