BATTISTELLI Toccata STRAVINSKI Suites 1 e 2 per piccola orchestra; L’uccello di fuoco (suite 1919 op. 20) CIAIKOVSKI Sinfonia n. 5 op. 64 Filarmonica della Scala, direttore Riccardo Chailly
Milano, Teatro alla Scala, 24 gennaio 2022
Sono passati quarant’anni (meno un giorno, a essere pignoli…) da quel 25 gennaio 1982 in cui Claudio Abbado, alzando la bacchetta sulla Terza sinfonia di Mahler, battezzava la neonata Filarmonica della Scala, nata su suo suggerimento secondo il modello dei Wiener Philharmoniker: un’orchestra, cioè, che fosse legata a doppio filo ad un teatro, ma che per alcuni concerti sinfonici si organizzasse in modo autonomo, dal punto di vista gestionale e artistico. Di questi gloriosi quarant’anni parliamo anche nel numero di febbraio di MUSICA, intervistando l’attuale direttore artistico Etienne Reymond, e ora ci troviamo a raccontare il concerto celebrativo, affidato doverosamente a Riccardo Chailly, aperto da una prima assoluta di Giorgio Battistelli, Toccata: una pagina breve (otto minuti), di grande effetto nell’unire l’incipit “alla Monteverdi” (la toccata dell’Orfeo, naturalmente) ad un trattamento dell’orchestra che esalta la dimensione ritmica e un certo “fauvismo” alla Stravinski, del tutto appropriato nel contesto del concerto di ieri sera. Non credo sia difficile prevedere a questa pagina di Battistelli un futuro felice, vista la sua immediatezza di impatto e la sua capacità di esaltare il virtuosismo sia direttoriale (è dedicata al Maestro Chailly, e cucita su misura per lui) che orchestrale. La prima parte del concerto, in ogni caso, è stata di livello altissimo: Stravinski è uno di quegli autori cui Riccardo Chailly si è più dedicato (di recente Decca ha pubblicato un cofanetto di 11 cd con le sue incisioni stravinskiane) e con esiti invariabilmente altissimi, a partire da quella Carriera di un libertino che diresse a Milano nel 1979. Le due Suite per piccola orchestra sono brevi pagine giovanili, derivate da composizioni pianistiche, ma perfettamente idiomatiche di una delle tante sfaccettature del compositore russo: Chailly ne esalta lucidamente la pulizia di scrittura, ne innerva i gustosi giochi ritmici, con dettagli strumentali che sono sempre rifrazioni di un luminoso diamante, e con tocchi di vero virtuosismo orchestrale (ad esempio, la Valse tutta ritmicamente sghemba e un po’ allucinata). E l’orchestra, in formazione ridotta, lo asseconda con perfezione strumentale assoluta. Parimenti esaltante mi è parsa l’esecuzione dell’Uccello di fuoco, proposto nella suite del 1919: Chailly non calca la mano sugli schianti sonori e armonici, ma asseconda una certa levigatura dei contorni, evita ogni parossismo ma applica un controllo ferreo che però non limita, e anzi esalta, la meravigliosa inventiva di questo Stravinski giovane. Per usare vecchie categorie, quello di Chailly è uno Stravinski “russo” che sembra già in qualche modo “neoclassico”: una prova di maturità musicale e di inventiva che davvero hanno esaltato il pubblico scaligero, esploso dopo il grande finale, compatto ed ispirato come raramente accade.
La Quinta di Ciaikovski era in programma per la seconda parte: e se Igor è naturalmente affine alla sensibilità di Riccardo Chailly, continuo a pensare che Piotr Ilic lo sia molto meno, per un certo imbarazzo — vuoi musicale, vuoi psicologico — del maestro milanese a confrontarsi con gli incubi inespressi, con le passioni violente, con quel senso di destino angoscioso che domina la musica di Ciaikovski, e particolarmente le tre ultime sinfonie. Di qui una lettura molto curata, ci mancherebbe, ma che sembrava più incline a sottolineare una certa nostalgica malinconia, quasi a rivivere la passioni sotto il filtro della memoria: il grandioso secondo movimento era più nervoso che straziante, e la Valse del terzo acquistava, non sorprendentemente, una grazia brulicante quasi mendelssohniana. Tratti di grande emozione non mancavano (ad esempio la coda del quarto movimento, intensa e severa), ma una sensazione di estraneità di fondo tra compositore e direttore non poteva essere allontanata: e parimenti, se nella prima parte del concerto la Filarmonica aveva suonato con perfezione assoluta, qui si avvertiva qualche piccola sbavatura, al di là dell’incidente del corno nel grande solo di apertura dell’Andante cantabile.
Teatro non pienissimo, ma quasi, e successo molto cordiale, per quanto possa tributare un pubblico piuttosto compassato come quello, impellicciatissimo, della Filarmonica.
Nicola Cattò
Foto: G. Gori