VERDI La traviata R. Iniesta, F. Meli, S. Piazzola, V. Pitts, F.P. Vitale, M. Nardis, N. Ceriani; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, direttore Francesco Ivan Ciampa regia Michele Olcese
Verona, Arena, 23 luglio 2021
C’era voluto Riccardo Muti per sdoganare Traviata alla Scala nel 1990 dopo decenni di assenza, come fosse un tabù. Da quell’anno diventò gradualmente un evergreen sulle scene più blasonate, ma anche in provincia. Se oggi l’impressione è che tutti o quasi vogliano cantare e dirigere il capolavoro verdiano, la lezione dei grandi maestri non sembra tuttavia essere stata recepita pienamente. Per la stagione estiva dell’Arena di Verona Traviata torna dal 10 luglio al 2 settembre, con un folto cast ma due sole date assegnate a Francesco Meli nel ruolo di Alfredo e una a Ruth Iniesta per Violetta, il 23 luglio. Ci riferiamo a questa recita, dove su tutto e tutti spiccava indubbiamente Meli, con il suo stile inconfondibile, denso di nobiltà di tinte e respiri impeccabili, fraseggio chiarissimo, mai sopra le righe. Un ruolo ideale quello di Alfredo per Meli: persino il “che fai?”, che coglie di sorpresa Violetta dopo aver scritto la lettera, ha una struggente unicità, emozionando per l’insieme di sorpresa e fiducia verso l’amata. In altri momenti è la stessa autorevolezza e il peso assunto dalla sua presenza vocale a sostenere tutta la rappresentazione. Una partecipazione di assoluto prestigio internazionale per questa produzione. L’Iniesta – protagonista in Traviata già a Palermo e Trieste – canta con intensa semplicità, senza alcuna incertezza dispiega slancio lirico e ampie sfumature in ogni registro, mai limitandosi al ben fatto, ma entrando nel vivo di un personaggio tormentato. Meriterebbe più recite. Non convince invece Simone Piazzola (Germont), dal difficoltoso raffronto con Meli in duetto, generalmente appiattito nelle risorse espressive, ripetitive rispetto al testo. Con disarmante indifferenza il “Mio figlio!” del secondo atto – emblematico – sfugge come una comunicazione di servizio. Una maggiore attenzione alla complessità del personaggio sarebbe dovuta.
Francesco Ivan Ciampa dirige l’orchestra dell’Arena di Verona fra rigidi schematismi e preoccupanti difficoltà d’insieme specie quando è coinvolto il coro. Del resto la posizione del coro sulle gradinate di sinistra non funziona, costringendo qualsiasi direttore a un tour de force per tenere in piedi le compagini, a cui pochissimi possono sopravvivere. La concertazione vive esclusivamente di attacchi e stacchi, fermate e riprese, entrate e uscite di voci, ancor più evidente nel secondo atto, in una frenetica gesticolazione tesa a impartire ordini al palcoscenico, ma non è questo fare opera, svuotata di dramma e teatro, immersa in un mero accompagnamento, forzato fra toni inutilmente esuberanti. Così, l’atteso “Amami, Alfredo” passa frettolosamente con burocratica freddezza. Ci si chiede poi perché nel celeberrimo Preludio si ascoltino tre o quattro tempi diversi già dalle prime battute invece di un tactus univoco e inesorabile (è davvero così difficile?), o perché le scelte di metronomo cadano quasi sempre su tempi rapidi in un assottigliamento di tinte. Piacciono indubbiamente le velocità mutuate dalla lezione delle prassi esecutive anche su strumenti storici, e si sa che l’esecuzione all’aperto tende alle accelerazioni, ma qui si finisce solo per enfatizzare le problematiche d’assieme e la dialettica delle tensioni scompare.
L’allestimento curato da Michele Olcese – nuova produzione – non aggiunge pressoché nulla, scarno e austero, a tratti oleografico, immerso in una grigia dimensione di fine Ottocento. Nemmeno un tavolo né sedie nel primo atto – così, per dire – cuscini, bottiglie e bicchieri per terra come in un anonimo harem; grandi schermi digitali poco valorizzati sullo sfondo, dove si proiettano immagini statiche, prive di movimento, o quadri dalla Galleria degli Uffizi. Manca un’idea di fondo, una vera regia. Arena affollata e calorosamente plaudente, ma è pur sempre Traviata di Verdi.
Mirko Schipilliti
Foto Ennevi