SIBELIUS Sinfonie 1-7 Orchestra Filarmonica di Oslo, direttore Klaus Mäkelä
Vienna, Konzerthaus, 21-23 maggio 2022
La recente incisione Decca delle Sette Sinfonie di Jean Sibelius, insieme a Tapiola e ai frammenti di quell’ipotetica Ottava Sinfonia mai composta o forse data alle fiamme, ha posto il ventiseienne Klaus Mäkelä al centro della discussione internazionale in merito all’interpretazione dello sfuggente compositore finlandese. Il giovane direttore ha ulteriormente animato questa discussione proponendo a Vienna e poi ad Amburgo una maratona Sibelius: tutte le Sinfonie in tre giorni insieme alla sua Oslo Filharmonien. L’occasione era preziosa per approfondire la visione di Mäkelä su Sibelius e il risultato non solo non ha deluso le aspettative, ma le ha di molto sorpassate. Rispetto all’incisione, l’esecuzione dal vivo porta ad altri livelli sia la coerenza della lettura di Mäkelä, sia l’effetto sul pubblico, convincendo pienamente. La generosa acustica del Konzerthaus di Vienna, dove ho avuto modo di seguire il ciclo integrale dal 21 al 23 di maggio, ben consente al suono di espandersi e il direttore è riuscito ad utilizzarla per sfoggiare tutto il suono ampio e ben appoggiato della Filarmonien, trovando soprattutto nei pizzicati (comunissimi in Sibelius) una risonanza speciale. L’acustica riverberante, però, non ha mancato di creare anche qualche problema a Mäkelä, il quale non sempre è riuscito a rendere con chiarezza la complessa tessitura polifonica delle Sinfonie, in questo non aiutato proprio da quella pienezza di suono che tendeva a ricoprire uniformemente tutto. Il suono della Oslo Filarmonien, infatti, è massiccio e rotondo, soprattutto nella falange degli archi. I fiati sono più disuguali, con particolare sofferenza nelle prime parti di flauti e oboi, ma la prova degli ottoni e ancor di più di trombe e tromboni è stata veramente meravigliosa. Posto dunque che il livello dell’esecuzione è stato altissimo, andiamo più a fondo nell’interpretazione di Mäkelä. La disposizione nei programmi, molto ben pensata, ha permesso di mettere in risalto i lavori quasi per contrasto. Nel primo concerto alla Prima Sinfonia hanno fatto da contraltare la Sesta e la Settima, così riassumendo in un concerto alfa e omega della produzione sinfonica di Sibelius. Alla enigmatica Quarta Sinfonia ha risposto l’entusiasta Seconda. La scura e brunita Terza è stata bilanciata dalla maestosa e limpida Quinta, cui è stato affidato anche il ruolo di concludere l’intero ciclo. In ogni concerto è stato offerto un bis connesso con il repertorio della serata. Comuni atmosfere hanno affiancato la Valse triste alla Settima Sinfonia, l’intero poema Finlandia (!) alla Seconda Sinfonia e dopo i cigni della Quinta Sinfonia mi sarei aspettato il Cigno di Tuonela dalla Suite Lemminkäinen. Ci sono andato vicino: anziché il secondo tempo della suite, Mäkelä ha scelto il quarto, Il ritorno di Lemminkäinen.
Al netto della splendida esecuzione, non tutte le Sinfonie mi hanno convinto allo stesso modo. Il primo concerto è stato in generale animato da un certo nervosismo, che soprattutto nella Prima Sinfonia ha fatto propendere il giovane direttore per un’interpretazione enfatica e persino troppo teatrale, negli scarti un po’ esagerati. La Sesta potrebbe essere uno di quei lavori che miglioreranno con gli anni. Al momento Mäkelä ancora non riesce veramente a trasformare il suono dell’orchestra in quelle rifrazioni di luce che questa Sinfonia, la più pittorica delle Sette, richiede. La Filarmonien suona sempre benissimo, ma anche con una densità sonora che fatica ad adattarsi ai rapidi cambi di colore e tende naturalmente a sprofondare nei toni più scuri e dai riflessi opachi e bronzei. Tutte queste caratteristiche si adattano molto meglio alla Settima, che infatti è stata uno degli apici dell’intero ciclo. Qui Mäkelä ha saputo davvero decifrare il complesso e contorto linguaggio di Sibelius, immergendo tutta la Sinfonia in un’atmosfera ponderosa e introversa, perdendosi nei pensieri ma senza smarrire il filo del discorso. Questa sorprendente Settima mi ha posto di fronte alla domanda se Mäkelä si trovi più a suo agio sui brani che lo costringono all’introspezione, anche contorta.
Il giorno dopo, questa impressione è stata ulteriormente riconfermata dalla Quarta Sinfonia. Delle Sette, la Quarta è senza dubbio la più complessa, la più ostica, la più respingente. Niente in quella Sinfonia si concede al pubblico e trovarvi una chiave di lettura è ardua sfida per i direttori più esperti. Per questo sono rimasto ancora più sorpreso quando vi ho scoperto la più profonda delle letture di Mäkelä. Limitato negli slanci orizzontali, il direttore è riuscito a lavorare di scavo, non solo trovando una consapevolezza formale nuova fino a quel momento, ma proprio andando oltre la buona lettura. Se ancora si possono notare alcuni limiti nel direttore, naturali vista l’età, il Largo della Quarta Sinfonia è stato uno di quei momenti in cui questi limiti sono stati superati, in cui qualcosa è successo, si è riusciti ad andare oltre e a dire qualcosa di vero. La Seconda Sinfonia, dopo l’intervallo, ha confermato il successo del secondo concerto. Il suono rigonfio e dorato che Mäkelä è riuscito a trovare è stato perfettamente funzionale alla sua lettura di questa Sinfonia, ancora immersa in atmosfere romantiche e fortemente influenzate dal sinfonismo russo e di Čajkovskij in particolare, sensazione poi riconfermata dal poema Finlandia, eseguito come bis. L’ultimo giorno, direttore e orchestra hanno mostrato da un lato i segni di un po’ di naturale stanchezza, dall’altro un pieno adattamento all’acustica del Konzerthaus. Terza e Quinta sono scorse con grande efficacia, riuscendo finalmente a disegnare nuovi timbri, in particolare nel primo tempo della Terza Sinfonia, ma anche senza riuscire a trovare quella diversità di carattere tra i vari elementi del singolo movimento, così da meglio sostenere l’architettura musicale.
Questo è al momento uno degli scogli che Mäkelä deve superare. Al netto del talento e della musicalità, forse senza confronti sullo scenario internazionale, c’è ancora una certa fatica nel lavorare con le grandi forme, e in particolare nelle strutture più sfuggenti come quelle di Sibelius. La tendenza a volte è di esaltare gli slanci con giovanile trasporto, ma al contempo non dare sempre il giusto rilievo ai veri climax e non creare molta differenza di colore e carattere tra i diversi elementi, su cui passa un po’ a volo d’uccello senza sempre scendere in profondità. Non a caso le sinfonie meglio riuscite sono state Quarta e Settima, in cui il direttore ha dimostrato che, quando sfidata, la sua intelligenza musicale lo rende capace di vero scavo psicologico e profondità espressiva. Sulle altre cinque non mancavano certo gli splendidi momenti, ma al contempo il suono rotondo e brillante, quasi mai sfilacciato in timbri ricercati o cangiante di tono, assorbiva ogni irregolarità di queste sinfonie asimmetriche, in una lettura profondamente romantica che non sempre abbracciava le stranezze di Sibelius, nel ricondurle verso una consequenzialità drammaturgica fin troppo omogenea. Nei morbidissimi impasti di Mäkelä, la complessa stratificazione psicologica di timbri e l’orchestrazione di geniale imprevedibilità si fondevano con grande soddisfazione di retorica (e di pubblico), ma spesso Mäkelä ha fin troppo addomesticato le disuguaglianze e donato fin troppa omogeneità – cosa, questa, che come accennavo più sopra non ha aiutato la costruzione architettonica dei vari movimenti. La mia personale sensazione è che Mäkelä stia cercando una strada diversa nelle Sinfonie, che le allontani da una visione finnica più stereotipata e le riporti in una dimensione più occidentale e in stretta relazione con la musica russa del tardo Ottocento. Anche per questo il ciclo viennese su Sibelius mi fa attendere con molta curiosità tanto il suo Šostakovič (di prossima incisione) quanto il suo Čajkovskij, mentre la Quarta Sinfonia svela forse un talento del direttore per la musica di Arnold Schönberg. Quale che sia comunque la strada che Mäkelä vorrà imboccare nei prossimi anni, il giovane direttore finlandese rimane una delle figure più interessanti del panorama internazionale e la sua crescita musicale può seriamente renderlo uno dei più grandi direttori del nostro secolo. Ascoltare per credere.
Alessandro Tommasi
Foto © Lukas Beck