Nel 2011 è uscito in traduzione italiana, a cura di Marco Murara, il carteggio mozartiano basato sull’edizione critica Bauer-Deutsch-Eibl-Konrad (1966-75; 2005). Murara è notaio e storico bolzanino; dunque ben attrezzato alla bisogna di rendere nella nostra lingua il labirinto idiomatico, e talora idiolettico, della prosa di una famiglia germanofona meridionale vissuta nella seconda metà del Settecento. Per criticarne le soluzioni ecdotiche servirebbero buone competenze linguistiche, filologiche e paleografiche; virtù che – come argomentato in altra sede – scarseggiano nei signori Bianchini e Trombetta (d’ora in poi: B&T), autori di una pretesa “controbiografia” di Mozart. Un paio di verifiche a campione potrà mettere in guardia il lettore dalle dilettantesche revisioni di detti signori.
Primo caso (B&T, p. 222): si discute un epigramma di Wolfgang in calce alla lettera di Leopold datata Bolzano 28.10.1772. Testo dell’autografo in trascrizione diplomatica: “soll ich noch komen nach botzen/ so schlag ich mich lieber in d’fozen”. B&T interpretano: “Se dovessi ancora a Bolzano tornare/ piuttosto in una fica mi vorrei buttare” e chiosano: “nell’originale fozen (fica) rima con Botzen (Bolzano). Marco Murara altera il testo senza avvisare in nota: “Se a Bolzano devo tornare, piuttosto mi voglio schiaffeggiare””. Accusa temeraria, giacché nell’area dialettale austro-bavarese sich in die Fotze(n) schlagen significa proprio “colpirsi sul muso”. Dove la “n” finale sembra un solecismo per attrazione dal sostantivo die Fotzen (schiaffo al singolare), che può leggersi come un deverbale di fotzen (schiaffeggiare) e resta invariato al plurale. “Wüllst a Fotzen?” si dice in Stiria per chiedere a qualcuno se vuol essere schiaffeggiato.
L’accezione scurrile di Fotze, viva ancor oggi, rimanda invece al tedesco standard, mentre nell’area meridionale si usa piuttosto Fut(t) o Fott. Mozart & Family dicevano le parolacce? Certo che sì, ma per regalargliene una in più B&T violentano grammatica e sintassi cambiando l’articolo determinativo in indeterminativo e il plurale in singolare: non “in una f**a”” dovevano semmai tradurre, bensì “nelle f***e”, quasi fosse in die Fotzen (accusativo femminile plurale come richiesto dal verbo di moto a luogo). Allora chi ha “alterato il testo”? Murara per pruderie o B&T per libidine di scandalo?
Secondo caso (B&T, pp. 209-10). Partendo da un loro teorema per cui le lettere dove Leopold descrive i successi italiani del piccolo Wolfgang sarebbero un coacervo di millanterie e falsità, i due autori insinuano che l’affollato concerto veronese sugli organi di San Tommaso Cantuariense non ebbe mai luogo. I motivi? “Il Concerto non ci fu per via del gelo […] I Mozart si recarono in chiesa a provare i due organi, ma se ne andarono via subito”. Segue una lunga citazione dalla lettera datata Verona 7.1.1770, seguita dal commento: “Quella povera gente avrà preferito starsene al calduccio, piuttosto che recarsi in chiesa a sentire uno sconosciuto che aveva intenzione di provare due accordi sull’organo […] Mancando il concerto, Leopold per la gioia dell’arcivescovo [di Salisburgo, ndr] creò dal nulla una folla delirante”.
“Provare due accordi” è divinazione medianica di B&T. Leopold scrive “um auf 2 Orgeln dieser Kirche zu spielen”, Murara traduce “per suonare i 2 organi di questa chiesa” e prosegue in accordo al testo descrivendo una calca di gente che avrebbe impedito l’ingresso in chiesa se i Padri di San Tommaso non avessero scortato i Mozart attraverso il chiostro (durch das Kloster). Qui B&T rendono Klosterporten con “porta del Convento”; rectius porte, ma passi. Segue Murara: “Fatto ciò, il rumore diventò ancora maggiore, giacché ciascuno voleva vedere il piccolo organista”. L’originale dice: “da es vorbeÿ war; war der Lermen noch grösser, den ieder wollte den kleinen Organisten sehen”. Letteralmente: “quando la cosa fu finita, il rumore, ecc.”. Come può intenderla il lettore imparziale? A concerto finito, il fracasso, ecc. Tanto rumore per “due accordi”? Difficile crederlo, e allora B&T trasformano un es (neutro), in una Porte (femminile): “Passata la porta il trambusto divenne, ecc.”. Cucù, il concerto non c’è più. Poi, belli come il sole, citano a n. 536 la traduzione Murara da loro così alterata. Senza avvertenze, come in un certo detto su pagliuzze e travi nell’occhio.
Carlo Vitali