BACH Il clavicembalo ben temperato, Libro II pianoforte Andrea Bacchetti
Genova, Teatro Carlo Felice, 12 aprile 2021
Quasi come auspicio che l’attività in streaming non costituisca appunto che un preludio a un vero e rapido ritorno ai concerti «in presenza», la GOG ha costruito un programma di sei appuntamenti aggregati sotto il titolo «Intorno al Preludio», dal 15 marzo al 3 maggio, trasmessi il lunedì alle 20.30 (la giornata tradizionale per i concerti dell’Associazione genovese) sul suo canale YouTube e sulla rete social. Un progetto affidato in prevalenza a concertisti ed organici italiani, con palinsesti che da Bach si irradiano fino a «compositori che, pur mutando il titolo della loro composizione, hanno proseguito nell’arte dell’invenzione libera», come Olivier Messiaen. Ai due estremi della mini-stagione la bachiana Arte della Fuga, proposta da Filippo Gorini al pianoforte e poi dall’Accademia Strumentale Italiana nell’ultimo concerto della serie; pernio, e in certa misura culmine, l’appuntamento in cui Andrea Bacchetti ha proposto il secondo libro del Clavicembalo ben temperato, o come meglio si dovrebbe dire i Ventiquattro nuovi preludi e fughe (così recita il titolo della raccolta), vero caposaldo della forma-Preludio. Una serie che segue di circa vent’anni il primo libro e che sorge quindi da esigenze meno pratiche (il Clavicembalo ben temperato nasce fondamentalmente al fine di rinforzare il «curriculum» di Bach per la candidatura a Cantor della Thomaskirche di Lipsia), ma ne ribadisce imperturbabilmente lo spirito; anche se uno degli aspetti che differenziano il secondo dal primo libro è proprio la maggiore estensione media dei relativi Preludi.
Andrea Bacchetti è ormai uno dei pianisti bachiani di riferimento: lo sanno bene i nostri lettori, ai quali abbiamo puntualmente presentato le sue varie prove discografiche (dalle Suite francesi ai Concerti alle ripetute incisioni delle Variazioni Goldberg) segnalandone gli esiti eccellenti; competenza rafforzata dall’altrettanto felice approfondimento di contemporanei come Scarlatti, Hasse o Galuppi. Con il solido bagaglio di queste esperienze approda ora al totem costituito dal secondo libro del Clavicembalo, la cui incisione verrà pubblicata a breve. Bacchetti restituisce del capolavoro bachiano una visione lontana tanto dal patetismo tardoromantico quanto da un falso oggettivismo «filologico». Sa da un lato aderire alla perfezione al carattere eterogeneo della raccolta, vero caleidoscopio musicale, il cui punto di partenza fu spesso costituito da materiale preesistente; ma dall’altro sa parimenti esaltare quel «cimento dell’invenzione» che la unifica e costituisce il carattere trascendente della musica — un dualismo che corrisponde in fondo al carattere stesso dell’autore, che univa tratti concreti, quasi prosaici, a una siderale altezza speculativa.
Proprio l’evidente gusto dell’invenzione, un profondo compiacimento nel dipanare il perfetto sviluppo musicale, è la caratteristica forse più rilevante nel fraseggio e nell’atteggiamento espressivo del pianista genovese, trasmesso peraltro anche dalla sua stessa fisicità. In questa chiave leggiamo, nelle Fughe, la mordace sottolineatura dei vari ingressi dei soggetti, spesso marcati per dinamica e accento (vedi ad esempio le Fughe VIII, XIV, XX, la maestosa XXII in si bemolle minore); il cromatismo peculiare del Preludio XX in la minore, calcato qui con intenzione, rendendolo quasi insinuante; il carattere mesmerico, trascinante delle scritture più genuinamente cembalistiche, dove si avverte quasi un’ebbrezza nel superare le difficoltà puramente meccaniche (Preludio XVIII, XXIII), ebbrezza che conferisce a certi brani un carattere addirittura impertinente (Fuga I, Fuga XII). In un quadro che rimane anti-sentimentale, vi è però spazio per un aereo rubato che infonde alla parte conclusiva del Preludio I in do maggiore una dolcezza quasi affettuosa, al XIV in fa diesis minore un’indole anelante. Molte sono insomma le annotazioni da ricordare in un’impresa (chiaramente non eseguita realmente in diretta) le cui caratteristiche generali sono, oltre a quelle già descritte, la nitidezza dell’ordito e un approccio certo non troppo indugiante: l’intero libro è stato dipanato in 2 ore e 10 minuti, dunque mezz’oretta in meno di quanto lo spartito suggerisse a una Rosalyn Tureck (BBC 1976) o a un Daniel Barenboim.
Un’ultima annotazione sull’aspetto visivo. La regia video era ben calibrata sull’esecuzione; la camera principale riprendeva il pianoforte da una prospettiva opposta rispetto all’assente spettatore, includendo nell’inquadratura l’intera platea del Carlo Felice, ovviamente vuota, quasi seconda protagonista del concerto. Una visione che potrebbe immalinconire, ma che ci ricorda anche — grazie allo spirito costruttivo e inesauribile della musica bachiana — che quello spazio rimane ad attenderci, pronti a nuove avventure intellettuali ed emotive.
Roberto Brusotti