ROSSINI La scala di seta, M. Amati, E. Bellocci, C. Piva, M. Roma, C. Lepore, E. Franco, Orchestra della Fondazione Arena di Verona, direttore Nikolas Nägele regia Stefania Bonfadelli scene Serena Rocco costumi Valeria Donata Bettella luci Fiammetta Baldiserri
Verona, Teatro Filarmonico, 27 marzo 2022
La scala di seta di Gioachino Rossini, mai rappresentata a Verona, ravviva la stagione lirica del Filarmonico in una nuova produzione diretta dal giovane tedesco Nikolas Nägele. La farsa in un atto, di cui è da sempre celebre la sinfonia, anticipa senza dubbio il Rossini più maturo, condensando in un piccolo gioiello necessità di virtuosismo, pulizia d’assieme, capacità attoriali così come varietà di emissione ed agilità, flessibilità continua nelle dinamiche. Un titolo non sempre frequentato, che recentemente era stato allestito a Venezia dalla Fenice nell’ambito della realizzazione integrale delle farse rossiniane. Si tratta di un’iniziativa lodevole, che se da un lato predilige una programmazione con organici più piccoli secondo le esigenze di distanziamento da “era Covid”, dall’altro rende indispensabile una costante indagine sulla produzione degli autori più celebri, specie nei periodi transizione ed evoluzione della propria scrittura.
Nägele impone bene i propri tempi brillanti esigendo precisione nella concertazione, alla ricerca di uno spirito da follia organizzata in una tensione continua. Disegna così un buon controllo ed equilibrio sul palcoscenico, riuscendo a gestire con autorevolezza le diversità vocali. La ricerca di leggerezza e agilità segue indubbiamente una visione moderna, non senza una lettura che fa l’occhiolino a certe prassi interpretative, anche se non vi è comunque un approccio storico-filologico in senso stretto. Un atteggiamento che rischia però di ricadere allo stesso tempo in una certa ritualizzazione delle consuetudini esecutive, incombendo una ripetitività di tinte e movenze che pesa sull’ambito dell’intera evoluzione dell’opera, anche se magari meno nel singolo brano chiuso.
Certo che l’allestimento firmato dalla regia di Stefania Bonfadelli non aiuta nella sua staticità: tutto si svolge all’interno della una scena fissa di un negozio di tessuti di primo Novecento (“Dormont Tissues et Couture”), fra qualche variazione cromatica di sfondo e alcune gestualità e gag di rito; l’energia cinetica della musica si spegne in uno spazio immobile.
Nel cast spicca Eleonora Bellocci (Giulia), che dispiega linee nitide e chiare, anche se fra qualche eccesso di vibrato. La lunga esperienza di Carlo Lepore (Blansac) conferma un’imponente vocalità, forse troppo presente per questa partitura, lasciando un’aura di solennità da un lato possibile per il personaggio, meno per la dimensione di quest’opera, lasciando un po’ sbiadite alcune colorature. Manuel Amati è un Dormont dallo slancio lirico, ma a tratti troppo acceso (non vorrei dire “verista”), mentre Emmanuel Franco (Germano) esprime con disinvoltura delicatezza di tinte e una fine varietà espressiva. Successo caloroso.
Mirko Schipilliti
Foto: Ennevi