BRITTEN Peter Grimes A. Staples, E. Bell, M. S. Doss, S. Fulgoni, P. Westley, J. Cale, C. Becker, S. Goronwy, R. Plowright, E. Mulhall, A. Otterburn, L. Meikle; Coro e Orchestra del Teatro La Fenice, direttore Juraj Valčuha regia Paul Curran scene e costumi Gary McCann light design Fabio Barettin
Venezia, Teatro La Fenice, 24 giugno 2022
Sembra impossibile che uno dei massimi capolavori del teatro novecentesco non abbia mai calcato le scene del teatro veneziano. Eppure, nonostante l’amore di Benjamin Britten per Venezia e il legame del compositore inglese con la Fenice, Peter Grimes è andato in scena per la prima volta nella città lagunare a distanza di 77 anni dalla prima londinese.
Primo grande successo teatrale del compositore inglese sullo splendido libretto di Montagu Slater tratto dal poema The Borough (Il borgo) di George Crabbe, il Grimes debuttò al Sadler’s Wells il 7 giugno 1945, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Al centro della vicenda è il pescatore Peter Grimes, figura ambigua, tormentata, piena di contraddizioni; un uomo vittima di un’aura maledetta attribuitagli dagli sguardi dei suoi compaesani del Borgo. Sospettato per due volte di aver provocato la morte del proprio mozzo, alla fine della vicenda troverà riscatto nel suicidio indotto, facendo affondare la propria barca in mare.
Il lavoro, inevitabilmente influenzato dal clima bellico ancora vivo nella mente e negli animi, materializza agli occhi dello spettatore, con un’urgenza e una forza del tutto inedite, alcuni temi universali: la violenza fisica e psicologica verso gli adolescenti e verso le donne; il condizionamento della massa sull’individuo; ma soprattutto il senso di colpa, il desiderio di riscatto, il perdono. Senza che né il libretto né la musica di Britten prendano una posizione: non è chiaro quale sia il senso generale della vicenda, né il giudizio sui diversi personaggi. Da una parte Grimes sembra essere un uomo selvaggio, incapace di dominarsi, pericoloso per la comunità; ma acquista la statura dell’eroe tragico nel momento in cui alla fine della storia, in silenzio, spinge la barca al largo scegliendo la morte in solitudine. Dall’altra il borgo, l’antagonista, lungi dall’essere una presenza ‘positiva’, è fatto anch’essa da individui deboli e contraddittori quanto lo stesso Peter Grimes.
A dare voce e consistenza scenica ai personaggi della vicenda, la musica di Britten: lontana dalle soluzioni delle avanguardie novecentesche e ancorata ad un linguaggio di personalissima fattura, estremamente eclettico, dove convivono influssi folklorici, impressionismo orchestrale, echi del passato e una particolare attenzione alla parola e alle potenzialità di una vocalità quanto più possibile “naturale”, di grande effetto e originalità. Su tutto, poi, quel particolarissimo timbro “marino” escogitato da Britten, di fortissima presa – si pensi ai celebri Quattro interludi marini che scandiscono lo sviluppo della vicenda, irraggiando, come un prisma, i propri bagliori sonori al resto della partitura.
Tutto questo intrigo di sentimenti e pulsioni è stato magnificamente portato in scena dal regista scozzese Paul Curran, coadiuvato da Gary McCann per le scene e i costumi e da Fabio Barettin per le luci. L’impianto scenico, lineare e asciutto, costituito da pannelli lignei che riducevano, quasi claustrofobicamente, lo spazio del palcoscenico, ha permesso di mettere in luce più la componente emotiva che quella “marina”, ridotta quasi ad una reminiscenza attraverso le proiezioni delle onde del mare in coincidenza degli Interludi.
Ne sono emersi compiutamente, da un lato, la drammatica solitudine del protagonista e l’amore incondizionato di Ellen, con la sua caparbia volontà di riscattare l’infelice marinaio, dall’altra la forza incontenibile degli abitanti del borgo, capaci di isolare sempre più il marinaio fino a costringerlo alla morte.
Superba la compagnia di canto schierata sul palcoscenico. Sotto la bacchetta esperta di Juraj Valčuha, senza dubbio uno dei più autorevoli e completi direttori attualmente in attività, hanno rivestito le rispettive parti con formidabile capacità di immedesimazione. A cominciare dal protagonista, Andrew Staples, che del personaggio di Peter ha saputo rendere ogni fibra: dal canto doloroso di alcuni squarci lirici ai toni più drammatici e quasi espressionisti dei momenti più concitati. Per non parlare della bravura attoriale, anche questa condivisa con tutto il cast. Accanto a lui la lirica maestrina Ellen Orford interpretata da Emma Bell e il bravissimo Mark S. Doss, credibilissimo capitano Balstrode, unico altro personaggio positivo accanto ad Ellen. Da ricordare anche Auntie, tenutaria della locanda “The Boar”, una perfetta Sara Fulgoni (unica italiana del cast), e le due “ragazze leggere”, istrioniche e sensuali, Patricia Westley e Jessica Cale. Presenza di lusso quella di Rosalind Plowright, antica gloria del passato, qui chiamata a dare voce e consistenza scenica alla ricca vedova Mrs Sedley, laudano-dipendente, che passa il tempo a farneticare di colpe e delitti.
Degno di lode anche l’impegnatissimo coro, diretto al Alfonso Caiani, cui Britten affida una parte da protagonista assoluto.
Su tutti, poi, il direttore Valčuha, che è riuscito a galvanizzare orchestrali e palcoscenico con una prova maiuscola. Vi era davvero tutto nella sua interpretazione: rassegnazione, delirio, rabbia, modernità, reminiscenza del passato, sensualità e tanto, tanto dolore, reso al massimo dall’Orchestra della Fenice. Il pubblico ha ripagato gli artisti con un successo vivissimo e con numerose chiamate.
Stefano Pagliantini
Foto: Michele Crosera