MAHLER Sinfonia n. 2 in do “La resurrezione” soprano Sarah Fox mezzosoprano Eva Vogel Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano, direttore Claus Peter Flor
Milano, Teatro Lirico “Giorgio Gaber”, 27 maggio 2022
Nella stagione in cui ha cambiato il nome — ora è l’Orchestra Sinfonica di Milano — la ex “Verdi” riallaccia simbolicamente i fili con il passato, tornando dopo molto tempo al Teatro Lirico, che l’aveva ospitata per un paio di stagioni alla fine degli anni Novanta, per proporre al suo pubblico la colossale Seconda di Gustav Mahler, con cui aveva inaugurato nel 1999 la sua attuale sede, l’Auditorium di Milano in zona Navigli. Il rinnovato Teatro Lirico, riaperto lo scorso dicembre dopo un restauro durato oltre vent’anni, mostra di possedere una discreta acustica, equilibrata e precisa nella resa dei dettagli anche se un poco ovattata (nei pianissimi dell’orchestra, tra l’altro, balza in primo piano il rumore dell’aria dell’impianto di condizionamento), per quanto ben lontana dalla magnificenza timbrica, dalla reattività nella risposta e della rotondità dell’acustica dell’Auditorium. Sul podio c’era il direttore musicale Claus Peter Flor, con il quale l’Orchestra milanese ha registrato dal vivo tutte le sinfonie mahleriane, in una serata di grande successo di pubblico, suggellata da applausi festosi e interminabili, come interminabile è il lungo movimento conclusivo della Sinfonia.
L’Orchestra Sinfonica di Milano suona Mahler con mestiere e Claus Peter Flor dirige con professionalità ma senza prendersi rischi sul piano dell’esecuzione né su quello dell’interpretazione. Il risultato è stata una Seconda equilibrata e convincente, a parte qualche vistosa incertezza dei corni nell’enunciazione del tema del “Dies Irae” nell’ultimo movimento e qualche imprecisione qua e là degli archi, una Seconda che però faticava a prendere davvero il volo. Il delicato secondo movimento, un Ländler dal retrogusto popolare, e il successivo scherzo, rielaborazione orchestrale del Lieder del Lied “La predica di Sant’Antonio da Padova ai pesci” apparivano frenati nello slancio e piuttosto piatti nei colori e così la violenta discesa cromatica di tutta l’orchestra nelle battute conclusive del primo movimento, decisamente poco rapinosa.
È stato fuorviante, almeno per noi, ascoltare questa interpretazione avendo nelle orecchie le magie sonore di Bruno Walter, di Sir John Barbirolli, di Leonard Bernstein e di Claudio Abbado, ma anche della lettura immaginifica e insieme intima di un veterano come Leonard Slatkin, che abbiamo avuto modo di ascoltare nel 2018 a Varsavia alla guida dell’Orchestra Sinfonica della Radio Nazionale Polacca in Katowice, perché il confronto rivelava i limiti di Claus Peter Flor, un buon artigiano del podio preoccupato soprattutto di tenere insieme il complicato meccanismo sinfonico della Seconda, di gestire i volumi e di far uscire a dovere gli interventi dei singoli strumenti, dei fiati in particolare. E ci è riuscito, Flor, solo che per farlo ha trascurato il fraseggio degli archi, con i primi violini spesso lasciati un po’ a se stessi, e soprattutto ha rinunciato a scavare nella tormentata scrittura mahleriana alla ricerca dei languori, degli slanci ed anche dei momenti di euforia di cui questa partitura è disseminata.
Tra le mani anche soltanto di un discreto direttore a volte la musica di Mahler, per fortuna, funziona quasi da sé, come ha rivelato il finale con la sua enfasi sonora, funziona però senza scuotere la platea: gli archi nel primo movimento sono rimasti quasi costantemente in ombra, e una pagina come “Urlicht”, tassello fondamentale nella preparazione del movimento conclusivo, difettava di tensione ritmica ed immaginazione timbrica, anche perché il soprano Sarah Fox non riusciva a dare al suo canto la disperata tensione ideale di tante interpreti del passato.
Per godere fino in fondo dell’esperienza dell’ascolto si dovrebbe alla fine ascoltare senza conoscere o almeno senza pensare alle interpretazioni del passato, come probabilmente ha fatto il pubblico che gremiva la sala del Lirico, però i ricordi, anche senza volerlo, restano incastrati nella memoria. A ben vedere, del resto, i confronti sono anche salutari, perché aiutano a collocare un’interpretazione nella sua giusta dimensione. In questo caso possiamo parlare di una discreta interpretazione, con alcuni momenti convincenti come l’attacco ruvido del primo movimento con violoncelli e contrabbassi, certi pianissimi ben levigati, l’amalgama timbrico nel movimento conclusivo tra l’orchestra, il coro e le due soliste, il già citato soprano Sarah Fox e il contralto Eva Vogel (voce bella e piena, a volte con qualche problema nell’attacco del suono, non sempre chiaro), ma non di un’interpretazione memorabile: considerate l’esperienza e le potenzialità dell’Orchestra Sinfonica di Milano, qualcosa di più sarebbe stato lecito attendersi.
Luca Segalla
Foto: Angelica Concari