PUCCINI La Rondine F. Sassu, C. Pieretti, M. Vannucci, A. Giovannini, F. Verna; Orchestra e Coro della Toscana, direttore Massimiliano Stefanelli regia Gino Zampieri scene e costumi Rosanna Monti
Modena, Teatro Comunale, 30 novembre 2014
Stavo per esordire con “La deliziosa Rondine di Modena”, ma il tintinnìo dell’ovvio mi ha sconsigliato, ché ‘deliziosa’ è un tributo scontato del gioiellino pucciniano in sé e per sé, indipendentemente dall’allestimento o dall’esecuzione. E questa modenese, nella mia personalissima ‘graduatoria degli amori’, si piazza al secondo posto, ma giusto a un’incollatura da quella che Massimo De Bernart diresse al “Verdi” di Pisa quasi trentacinqu’anni fa, accendendola d’un ritmo teatrale irresistibile, come solo lui sapeva fare. Protagonisti erano Giovanna Casolla e un ispirato Vincenzo Bello, con la coppia Cosotti-Mazzucato a infonder spiriti vitalissimi e di suprema eleganza ai due caratteristi, e Panerai a nobilitar il cammeo di Rambaldo.
Quanto a ritmi teatrali, Massimiliano Stefanelli, che ha diretto questa edizione modenese, non è da meno di De Bernart, ma in maniere diverse: più carezzevole dove il maestro romano era nervoso, più colorista dove l’altro badava al tratto drammatico del disegno, più lirico e meno votato alla fiammata improvvisa. Potrei dire che Stefanelli ha un raro scrupolo verso il dettaglio anche minimo di una partitura: come dimenticare l’arcata di velluto della sua Aida bussetana, quella celebre in scala ridotta, scommessa geniale del miglior Zeffirelli, a inizio secolo; e anche in questa Rondine si sono assaporati aromi timbrici molto particolari, come lo smussarsi degli angoli nei ritmi di certi valzerini ‘da balera’ o certi accompagnamenti in controcanto alle titubanze della protagonista. Ma soprattutto, Stefanelli è stato maestro nel condurre l’opera a passo di conversazione, sì che se Puccini strizzava l’occhio a Strauss con la citazione umoristica del motivo di Salomè, pareva lecito supporre che Richard der Große s’ispirasse proprio al volo di questa rondinella per la forma del suo supremo Capriccio, in Konversations-Form.
La regìa di Gino Zampieri è, se si vuole, in tono minore, ma col merito non indifferente di credere nell’opera e non volerla sovraccaricare di simbolismi, controcanti o chissà quali invenzioni. Se il complicato atto secondo, può apparire risolto in maniera fin troppo semplicistica e non sempre efficace, il primo e l’ultimo erano azzeccati in pieno. Il primo, che rinunciava ad esibire uno sfarzo eccessivo da grand salon, accentuando i caratteri belle époque fin quasi al kitsch, pareva una parodia dolceamara di quello stile di vita votato alla decadenza e allo scialo (soprattutto del tempo): del resto, il cinico Puccini non mise in scena la Rondine a Vienna, una città che in quel 1917 assisteva, dopo un lungo tramonto, al crollo di un impero, continuando a ripetersi che “la situazione è disperata, ma non seria”… Il terzo atto, disegnava una scena luminosa da vacanza felice, da amori beati, che neppure lo scioglimento in rimpianti della storia minimamente adombra.
L’equilibrata compagnia di canto, composta di giovani tutti calati con convinzione nei rispettivi ruoli, ha trovato le sue punte adamantine in Francesca Sassu, protagonista di straordinaria intelligenza espressiva (maestra del recitar cantando, centra la minima sfumatura del canto con l’intonazione più semplice della parola), e in Andrea Giovannini, Prunier d’irresistibile facondia. La Magda della Sassu mostra da sùbito i segni della malinconia, accentuati dal timbro caratteristicamente ‘velato’ della cantante, e i momenti lieti paion davvero solo l’illusione d’un sogno (ma quando sfoga nell’acuto, la gioia si fa luminosa). Giovannini, da parte sua, fa di canto e recitazione un inscindibile tutt’uno, rendendo il comprimario Prunier, il motore del dramma: un capolavoro.
Bernardo Pieri