Recital di Angelika Kirchschlager (mezzosoprano) e James Sherlock (pianoforte): Lieder di Schubert, Schumann, Brahms
Trieste, 8 maggio 2019
Angelika Kirchschlager ha, oltre allo charme, una di quelle facce belle, larghe e luminose che sembrano fatte apposta per far galleggiare il suono, distillare ogni cellula della parola, offrire ogni vibrazione della poesia: un viso di quelli fatti apposta per ricevere la luce e ritrasmetterla, un po’ alla Schwarzkopf, direi, ma ancora con una sua fresca, giovanile floridezza. Reminiscenza non casuale, perché con la sua presenza al Teatro Verdi, la Società dei Concerti ha voluto tener fede ad una gloriosa tradizione liederistica che allinea (oltre alla mitica Elisabeth) Janowitz, Jessye Norman, Goerne, tanto per fare qualche nome. Serata di alta caratura anche per la presenza di un partner pianistico straordinario. Non c’era questa volta né Helmut Deutsch, né Julius Drake, ma c’era tale James Sherlock, che più inglese non si può, con un pianismo ed una musicalità monstre: valori aggiunti e perfettamente integrati alla vocalità della Kirchschlager. Non solo nello schubertiano Erlkönig, noto banco di prova per ogni pianista, ma persino, poco prima, in quel fluire di apparente semplicità che è Fischerweise dove il candore arcadico del canto strofico corre sulla fantasia deliziosa di un accompagnamento ridente e di maliziosa complicità. Per non dire del capolavoro assoluto (merito di entrambi gli artisti) scaturito da Die Löwenbraut (la sposa del leone) dall’opera 31 di Robert Schumann. Vasto Lied in cui si condensa la microtragedia in versi di Chamisso: analoga per certi aspetti a Der Zwerg di Schubert. Lì un nano innamorato, deluso dalla “sua” regina, qui il leone tradito dalla sua creatura degli affetti fino alla soluzione mortale. La cantante salisburghese ed il suo pianista scavano nella tensione drammatica, nella trepidazione, nei lunghi silenzi, nello “staccato” delle emozioni, nel senso visionario della ballata romantica.
La serata era iniziata con una versione di Frauenliebe und Leben di Schumann che sembrava affrontata quasi con cautela, come se l’esecuzione filtrasse da un velatino ambrato. Per poi guadagnare quota in quella sensibilità del “porgere”, in quell’assaporare la parola, alimentando l’arcata lirica con la classe suasiva di chi naviga questi mari come se è sempre la prima volta. Poi il corso splendido di quattro Lieder di Brahms, fra cui la perla assoluta, Dein blaues Auge, ottavo e ultimo Lied dell’op. 59. Per finire con la felicità allo stato puro (Versunken di Schubert). Che il pubblico decretasse successo tanto clamoroso pur essendo incidentalmente sprovvisto dei testi nel programma di sala, è ulteriore prova del carisma degli interpreti.
Gianni Gori