SCHUMANN Manfred op. 115 (Poema drammatico in tre parti per soli, coro e orchestra. Libretto di Richard Fohl da George G. Byron) G. Mauri, M. Suleiman, J. White, E. Niave, R. Lorenzi, A. Sellan, S. Poeta; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma, direttore Michele Mariotti
Roma, Teatro Costanzi, 20 aprile 2023
Il Teatro dell’Opera di Roma ha una illustre e non recente tradizione di spettacoli mirabilmente frammisti prosa e musica: dal celeberrimo Egmont di Schiller-Beethoven messo in scena da Luchino Visconti con Giorgio De Lullo e Romolo Valli nel 1968, al Majakovskij di Carmelo Bene, con musiche di Gaetano Giani Luporini, nel 1980. La formula, accattivante invero, è stata ed è ampiamente praticata anche dall’Accademia di Santa Cecilia, presso la quale restano memorabili il Peer Gynt di Ibsen-Grieg con Albertazzi e la Proclemer nel 1978 o l’Antigone di Sofocle-Mendelssohn con Tino Carraro e Piera Degli Esposti nel 1986; e beninteso a suo tempo dalla RAI di Roma, al glorioso e abbandonato Auditorium del Foro Italico.
Il Manfred di Byron-Schumann era già stato messo in scena al Costanzi nel 1966 da Mauro Bolognini (dirigeva quel raffinato intellettuale della bacchetta che fu Piero Bellugi), con Enrico Maria Salerno protagonista, Antonio Battistella, Mariano Rigillo e le stupende scene di Pier Luigi Samaritani. Tuttavia il Manfred nella memoria d’ognuno si lega alla produzione ideata da Carmelo Bene per il Teatro alla Scala e poi portata ovunque, alla RAI, all’Accademia di Santa Cecilia, al Comunale di Bologna, in disco per la Cetra etc. Memorabile e rapinoso se ve ne furono. L’attuale proposta, pensata e diretta da Michele Mariotti, certamente “di concerto” con l’amico di famiglia e concittadino Glauco Mauri, non aveva, né voleva avere, l’impatto eversivo e stürmisch di Carmelo Bene. E tuttavia è stata interessante, sia pur in modo alterno. L’orchestra e il coro erano sul palcoscenico, davanti i cantanti e gli attori giovanissimi (o dal Progetto Fabbrica dell’Opera o dall’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico); Mauri era seduto appena più in alto, su una sorta di austero trono da Escurial. E di lui va detto che, una volta raggiunto a fatica quel trono, vi ha dato a novantatré anni ancora regale lezione di un’arte portata a scarnificata essenza, di un intuito profondo del testo, di una recitazione che sa trascorrere dal sussurro al grido con superba vibrazione d’animo. Il suo Manfred non è quello di Bene, né presumibilmente quello di Salerno: l’eroe maledetto, possente e blasfemo, colui che sfida i venti e le vertigini, qui ha assunto i toni leopardiani d’una voluttà crepuscolare, quasi di chi si conosce già perdente, già vinto, dall’origine “nato per la morte”. È evidente che a fianco d’un maestro di tal fatta, i giovanissimi chiamati a sostenere i ruoli collaterali apparissero ancor più che acerbi, con l’unica eccezione del promettente Stefano Poeta, un Abate di San Maurizio di cupa e incisiva profilatura. Dei pur giovani cantanti, additeremmo senz’altro il soprano Mariam Suleiman e il bel contralto Jasmin White, questa dell’Opernstudio della Volksoper di Vienna. Precisato che una non eccelsa amplificazione rendeva poca giustizia agli attori, resta beninteso da dire della direzione di Michele Mariotti. Che ci è parso – per difetto di prove o di vocazione schumanniana o tutt’ e due – non felice come altre volte: tanto per le sparse imprecisioni dello strumentale, quanto e soprattutto per un suono complessivamente non bello, assai arido negli archi e privo delle necessarie risonanze fiabesche nei fiati: a ben vedere alieno da quell’étoffage così speciale che la triade Mendelssohn, Schumann, Brahms impone in termini di velluto, di intensità, di colore del suono. Ne ha patito soprattutto l’Ouverture; ma anche sporadicamente qualche pagina del resto d’una partitura che comunque rimane fra le cose più geniali e affascinanti del suo autore. Forse – insieme al Sogno d’una notte di mezza estate di Mendelssohn — un vero paradigma del romanticismo tedesco in musica.
Applausi per tutti, ma vere ovazioni per Glauco Mauri.
Maurizio Modugno