SCHUMANN Frauenliebe und –leben; Quattordici Lieder mezzosoprano Angelika Kirchschlager pianoforte Julius Drake
Genova, Teatro Carlo Felice, 15 febbraio 2016
Si afferma spesso che i Lieder di Schumann costituiscono altrettante partiture a tre voci: canto, pianoforte e testo letterario, in un equilibrio tra le componenti che troviamo di rado allo stesso livello nella letteratura liederistica. È quindi fondamentale per un Liederabend schumanniano individuare un percorso e una “drammaturgia” capaci di dar conto adeguato di tutti i fattori in gioco.
Proponendo nella seconda parte il meraviglioso ciclo Frauenliebe und –leben, Angelika Kirchschlager e Julius Drake, ancora una volta ospiti della GOG, hanno costruito nella prima parte un palinsesto di quattordici Lieder seguendo un duplice legame: la prevalenza di figure femminili al centro del racconto, e la presenza in posizione cruciale delle liriche di Adelbert von Chamisso, il poeta e botanico franco-berlinese a cui Schumann dedicò buona parte del luglio del 1840, il suo “anno del Lied”: non solo in quanto autore dei testi di Frauenliebe e di altre pagine importanti nel suo canzoniere, ma anche come traduttore, ad esempio delle poesie di Hans Christian Andersen utilizzate per l’op. 40 (suggellata da “Verratene Liebe”, rifacimento dal greco, inclusa in questo programma).
Come fulcro della prima parte del recital, impaginata alternando criteri di varietà e affinità espressiva, la Kirchschlager e Drake hanno posto “Die Löwenbraut”: l’esotica ballata di Chamisso sulla fanciulla sbranata per gelosia dal suo leone, tenero amico fin dall’infanzia, allorché lei gli annuncia di doverlo abbandonare per seguire l’estraneo a cui è stata data in sposa. Una vicenda che deve aver innescato in Schumann qualche meccanismo di identificazione con la parallela triangolazione Robert-Clara-Wieck, dando vita a un Lied singolare, dal trattamento musicale tematicamente incisivo ma un poco ripetitivo e a tratti sopra le righe, e che necessita, per avvincere l’uditorio, di un’interpretazione davvero eloquente. Che il nostro binomio ha ben saputo restituire, virando il racconto verso le tinte forti ed esasperando i sentimenti dei protagonisti: la rassegnazione della ragazza, innervata di sotterranea disperazione e di paura del futuro; la terribile collera (“Zorn”) del leone, che sfocia in spasmodica generale agitazione grazie a un pianoforte che diventa invasivo allorché la tragedia si avvicina al compimento; lo strazio evidenziato da Drake nelle due battute pianistiche che precedono l’ultima strofa, molto dilatate, con esasperate dissonanze sforzando, e che allude forse altrettanto allo strazio psichico della belva omicida, “immersa nel lutto e nel dolore”, che a quello fisico della fanciulla ridotta in brani; mentre allo scioglimento finale il mezzosoprano conferiva un sapore quasi attonito, allorché la pallottola (“Kugel”) penetra nel cuore del leone.
Esemplare delle affinità espressive che gli interpreti hanno saputo evidenziare nel palinsesto, la disperazione della protagonista di “Die Löwenbraut” sembrava contagiare la fanciulla malinconica di “Mädchen-Schwermut” posto a seguire, Lied colorato in maniera più complessa dell’usato, influenzato retrospettivamente dal “mondo privo di gioia” menzionato nell’ultimo verso. Mentre una tinta del tutto contrastante assumeva il successivo “Die Kartenlegerin”, altro vasto Lied di Chamisso (da Béranger), nel quale si evidenziava tutta la versatilità espressiva della Kirchschlager, che ne porgeva una lettura decisamente teatrale: queste pagine più mosse evidenziavano a dire il vero una vocalità meno compatta e vellutata di un tempo, in particolare nella zona di passaggio al registro acuto, forse intaccata da qualche malanno di stagione; ma in genere a convincere era proprio la flessibilità espressiva nella transizione tra pagine vivacissime ad altre intime, come un “Die Lotosblume” venato di sensualità, o un “Was soll ich sagen” quasi tormentato, incentrato sul rimpianto della gioventù (la lirica di Chamisso, autobiografica, tratteggia l’ansioso amore di un uomo maturo per una giovane donna), ancorché concluso con una messa di voce non impeccabile; ovvero a Lieder più sorridenti e spiritosi, come l’uniforme trittico costruito accostando “Jasminenstrauch”, “Volksliedchen”, e “Verratene Liebe”. Julius Drake ha confermato per l’ennesima volta di essere uno dei migliori pianisti “accompagnatori” sulla piazza, facendosi notare per bellezza del canto ed eloquenza di fraseggio, ad esempio nelle “onde” di semicrome caratteristiche di “Liebeslied” o negli incisivi accenti (condivisi dal canto) di “Dem roten Röslein gleicht mein Lieb”.
Le qualità degli interpreti sono state ribadite nel ciclo Amore e vita di donna, della cui protagonista il mezzosoprano ha saputo proporre una fisionomia intensa e personale, seguendone la maturazione brano dopo brano: da una giovinezza che coniuga fuoco e candore a un’affranta maturità che conserva le medesime qualità anche nel lutto, coerentemente con un ciclo che sotto la superficie di un’immagine femminile apparentemente ingenua e obsoleta rivela una profonda riflessione sulla vita e sulla morte, proponendo, con la riemersione del primo Lied nel postludio, un’idea di ciclicità alla fine ambivalente, che non sai se considerare amara o consolatoria. Anche qui è emersa qualche piccola menda vocale (gli scabrosi attacchi di “Süsser Freund, du blickest” non apparivano sempre intonatissimi) che però veniva riassorbita dall’eloquenza e persuasività dell’interpretazione. E l’esperienza di cantante e pianista è emersa fino alle ultime note: le ombre lasciate dal pensoso suggello del ciclo di Chamisso sono state infatti fugate sapientemente grazie a due bis positivi e sorridenti (“Widmung” e il brahmsiano “Meine Liebe ist grün”), che hanno congedato una platea non nutritissima ma soddisfatta.
Roberto Brusotti