STRAUSS Ariadne auf Naxos K-H. Macek, M. Werba, S. Harmsen, J.M. Myers, N. Pamio, B. Nacoski, F. Milanese, M. Ferrara, E. Morley, S. Jakubiak, Ä. Humm, M. Frey, S. Chojnacki, E. Casari, J. Delfs, M. Seidler, G. Bolcato; Orchestra del Teatro La Fenice, direttore Markus Stenz regia Paul Curran scene e costumi Gary McCann light designer Howard Hudson
Venezia, Teatro La Fenice, 23 giugno 2024
Approda al Teatro La Fenice l’opera di Richard Strauss Ariadne auf Naxos, co-prodotta dal Teatro veneziano assieme al Comunale di Bologna e al Verdi di Trieste. Una produzione fortunata, che ha riscosso generali apprezzamenti e che anche nella città lagunare ha suscitato pieni, e meritati, consensi. Affidata al regista scozzese Paul Curran, lo stesso che aveva già realizzato l’unica altra messinscena veneziana del lavoro straussiano, vista nel 2003.
Una realizzazione lineare ma funzionale, apprezzabile per l’efficace e teatralissima resa dei diversi personaggi scenici più che per le scenografie di Gary McCann. Ambientata nel salone del palazzo di un ricco viennese nei nostri giorni, vede nel prologo i protagonisti in abiti moderni alle prese con la rappresentazione dei due pezzi teatrali, uno comico e uno serio, che per scelta del padrone dovranno essere fusi assieme per non dilungarsi troppo sui tempi della festa. Tutto deve infatti concludersi in tempo per i fuochi d’artificio. In barba alla coerenza drammatica e alle esigenze estetiche e musicali, cantanti e musicista sono costretti a fare di necessità virtù. Nonostante le contestazioni del compositore e la supponenza dei cantanti verso gli attori comici considerati di rango inferiore, nell’atto successivo andrà in scena lo spettacolo. Un’ingombrante scenografia da teatro barocco riempirà il salone del palazzo per poi lasciare il posto, mano a mano che la vicenda da teatrale si fa metafora della vita, alle nude pareti del salone. Arianna e Bacco non saranno più i personaggi mitologici e un po’ algidi del lontano passato, ma una coppia di innamorati che scioglie ogni austerità nel vincolo dell’amore. Così come Zerbinetta, astuta e smaliziata soubrette, da capocomica si trasforma in donna che accoglie la vita, e l’amore, con leggerezza, lasciandosi sedurre — e seducendo a sua volta — da ogni nuovo amante.
Due approcci alla vita diversi e contrastanti, che musicalmente Strauss realizza con stili del tutto differenti: da una parte la vocalità di Arianna dalle frasi ampie e legate, tendenzialmente malinconica e ripiegata, e una scrittura orchestrale che ricorda il Rosenkavalier e la sua amabile grazia rococò; dall’altro i fuochi d’artificio vocali di Zerbinetta (ed un’orchestra leggera e guizzante), che sciorina la sua filosofia di vita con l’ironia, il cinismo e l’immorale volubilità delle maschere della commedia dell’arte. Quasi che Strauss e Hofmannsthal ci volessero ricordare che la tragicità della vita va compensata con il distacco ironico, la parodia e una buona dose di realismo. La Grande Guerra sarebbe scoppiata di là a qualche anno.
Il cast veneziano era quanto di meglio si potesse ascoltare in quasi tutte le sue componenti. A cominciare dall’eroina del titolo, interpretata da Sara Jakubiak, che ha cantato con ottimo lirismo, esibendo linee vocali ferme e dense in tutti i registri e una presenza scenica convincente, capace di passare dalla capricciosità della prima donna nel prologo, all’eroina tragica, altera e distaccata e infine alla donna innamorata. Trionfatrice della serata la Zerbinetta di Erin Morley, che canta con una souplesse da vera virtuosa, assolutamente a proprio agio nella sua difficile parte, superando con disinvoltura la funambolica aria “Grossmächtige Prinzessin”, cantata con voce agile e penetrante, unita ad una disinvolta presenza scenica.
Sophie Harmsen nella parte del Compositore è apparsa, invece, un filo corta in alto, cantando tutto tendenzialmente forte. Ottimo Bacco il tenore John Matthew Myers, molto sicuro nella sua difficile parte, che batte costantemente sul passaggio e sulla regione acuta della voce. Un ruolo dove sono cadute rovinosamente tante voci, e che invece il tenore americano affronta con grande sicurezza.
Markus Werba canta con confidenza la breve parte del Maestro di musica, con la sua voce timbrata e sicura. Le maschere sono recitate e cantate con divertita scioltezza da Mathias Frey (Scaramuccio), Szymon Chojnacki (Truffaldino) ed Enrico Casari (Brighella), cui si è unito Äneas Humm quale Arlecchino, dalla bella voce baritonale. Blagoj Nacoski canta e recita un Tanzmeister volutamente effemminato, ma senza mai eccedere.
Altrettanto a fuoco le ninfe — Jasmin Delfs, Marie Seidler e Giulia Bolcato – i cui timbri caldi fornivano un sensibile contraltare alla vocalità di Arianna. Bene anche Nicola Pamio (Ein Offizier), Matteo Ferrara (Ein Lakai), Francesco Milanese (Ein Perückenmacher) e Karl-Heinz Macek nella parte recitata del maggiordomo.
La raffinatissima scrittura straussiana, che si regge su un’orchestra di dimensioni ridotte e da una strumentazione cameristica che predilige sonorità multiformi e trasparenti, è stata resa con finezza dall’Orchestra del Teatro diretta da Markus Stenz, il quale ha saputo condurre con sicurezza il discorso musicale che alterna nel breve arco di poche battute recitativo secco, arie, duetti, concertati, intermezzi di danza. Mancando, però, una delle componenti essenziali di questa partitura, ed in generale del mondo poetico straussiano: quella malinconia sottile, ondivaga, che si mescola mozartianamente con il sorriso. Peccato.
Stefano Pagliantini
Foto: Michele Crosera