SCHITTINO Le valigie d’occasione ROSSINI L’occasione fa il ladro C. Fiorani, T. Sun, M. Torcaso, S. Basalaev, D. Lando, M.G. Aschei; soggetto di Stefano Valanzuolo libretto di Vincenzo De Vivo direttore d’orchestra Marco Alibrando regia Matteo Mazzoni scene Matteo Capobianco costumi Silvia Lumes
Novara, Teatro Coccia, 30/10/2022
Il Teatro Coccia di Novara continua a segnalarsi come uno dei più vivaci cantieri teatrali della penisola: dopo la felice stagione dei “Corti del Coccia”, che hanno saputo tenere alto l’impegno creativo anche durante la pandemia, ora è la volta di “DNA Italia: l’opera buffa nel segno di Rossini”, progetto quinquennale che prevede la produzione di cinque farse rossiniane accostate a nuove opere contemporanee. In cartellone il 30 ottobre figuravano dunque Le valigie d’occasione del siracusano Joe Schittino, (concepito come una sorta di “atto 0”) e L’occasione fa il ladro del cigno di Pesaro. Nell’opera di Schittino i personaggi sono gli stessi che andranno a vestire i panni della farsa rossiniana, visti nella loro umana dimensione di teatranti, un pò meschini e litigiosi. Maria (soprano) decide di ritirarsi dalla produzione nel bel mezzo delle prove, estenuata dalle presunte infedeltà del fidanzato Giobatta (baritono), creando uno scompiglio tale da indurre il committente a ripiegare su un’opera di “un ragazzo, un tipo allegro, un mezzo pazzo di Pesaro”: L’occasione fa il ladro. Il dittico appariva dunque ben sviluppato drammaturgicamente, grazie al sicuro mestiere di Vincenzo De Vivo, autore del libretto, ed al sottile lavoro di citazioni di temi mozartiani, rossiniani e schittiniani che emergevano continuamente dai recitativi al cembalo. La situazione concitata dell’intreccio offriva il destro a Schittino per sfoderare una serie numeri piuttosto brillanti che dimostravano l’abilità del compositore nel muoversi su diversi piani stilistici, da Mozart a Puccini, passando per l’operetta.
A fronte di questi gustosi esiti piacevolmente surreali, il finale neomozartiano appariva come un esercizio di stile decisamente troppo accademico, “trop respectable”, avrebbe detto il Comte Ory. Purtroppo il complesso orchestrale non padroneggiava a dovere le non molte agilità richieste dal compositore, nonostante il gesto preciso di Marco Alibrando cercasse di mettere ordine nella ritmica. La differenza nella cura della preparazione delle due opere emergeva già dal confronto tra le due ouverture: un peccato, perché l’opera di Schittino avrebbe meritato maggiore attenzione per il suo debutto, anche per il suo delicato confronto con un consolidato pezzo di repertorio. Il cast vocale si distingueva invece nell’insieme per il suo più che buon livello: una particolare nota di merito va al tenore cinese Tianxufei Sun, dalla voce particolarmente fluente ed aggraziata, corredata da una recitazione credibile, elemento tutt’altro che scontato. Altrettanto espressiva e coinvolgente Chiara Fiorani, che univa afflato lirico e notevole controllo dell’agilità, in particolare dei picchettati dell’aria “ Voi la sposa pretendete”. Davide Lando (Eusebio) mostrava buone qualità di caratterista, mentre Matteo Torcaso tratteggiava un Don Parmenione autorevole, preciso e plastico nella dizione. Semyon Basalaev metteva in campo una voce importante e dai promettenti sviluppi, mentre alla giovanissima Maria Grazia Aschei (Ernestina) toccava l’ingrato compito, peraltro svolto con correttezza, di sostenere una parte di soprano sbilanciata verso il registro grave. Purtroppo i livelli dinamici dell’orchestra risultavano spesso fuori controllo, lasciando in secondo piano le voci dei cantanti, che talvolta apparivano in difficoltà nel seguire i tempi stringenti dell’ orchestra.
Nonostante i limiti dimostrati dall’organico, Alibrando riusciva ad ottenere alcuni attimi di vero incanto espressivo, lavorando sulla complicità tra i vari elementi in gioco, soprattutto nei movimenti più lirici e distesi, come il duettino nel finale. La regia, curata da Matteo Mazzoni, puntava ad idealizzare il genere della farsa, coadiuvato dalle belle idee dello scenografo Matteo Capobianco, ispirate alla figura del Viandante ed al vedutismo italiano di primo Ottocento. Al Coccia dunque si continua a sperimentare puntando sui giovani e, nonostante tutti i limiti imposti dal nostro “reo tempo”, questa rimane pur sempre una bella notizia.
Massimiliano Genot
Foto: Mario Finotti