MOZART ouverture de La Clemenza di Tito; Concerto per pianoforte in do K 491; Concerto per pianoforte in SI bemolle K 595 Orchestra I Pomeriggi Musicali, direttore e pianoforte Louis Lortie
Milano, Teatro Dal Verme, 2 febbraio 2019
Quando al pianoforte siede Louis Lortie si spalanca un abisso davanti all’ascoltatore, perché la musica si carica di segrete risonanze. È accaduto nel corso del concerto con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, in realtà accade in ogni occasione in cui il pianista canadese, da tempo residente in Italia, si esibisce.
In un programma tutto mozartiano e dal taglio decisamente tradizionale, con l’ouverture della Clemenza di Tito a fare da introduzione e quindi i Concerti in do K 491 e in SI bemolle K 595, a stupire è stata in primo luogo l’Orchestra dei Pomeriggi, in ottima forma in questa occasione, concentrata e compatta nelle sonorità, con archi levigati e morbidi (quasi sempre…) e fiati impeccabili, soprattutto i legni. Come direttore Lortie appare – va detto – un po’ improvvisato, perché il suo gesto è molto espressivo se visto dalla parte del pubblico ma non del tutto chiaro agli orchestrali e forse non a caso in alcuni passaggi ha preferito lasciar fare all’Orchestra dei Pomeriggi, che in pagine di repertorio come i due Concerti può tranquillamente cavarsela da sola; eppure Lortie è riuscito a far passare le sue intenzioni, con il risultato di interpretazioni omogenee ed equilibrate sia nel fraseggio sia nei rapporti dinamici tra orchestra e solista, impegnati in un fitto e ininterrotto dialogo, come rivelavano anche i minimi dettagli (l’intreccio, per esempio, tra legni e pianoforte nell’Allegretto conclusivo del Concerto K 491).
I Concerti K 491 e K 595 sono pagine molto diverse, decisamente drammatico e virtuosistico il primo, trasparente e vivace il secondo, eppure su entrambi Lortie ha steso un velo di malinconia, lavorando su ogni sfumatura delle frasi e finanche delle singole note. Il dramma potente del Concerto in do K 491 si stemperava in un canto morbido e pensoso, l’eleganza del Concerto in SI bemolle K 595 sembrava farsi inquieta, perdendosi in un canto sommesso e dolcissimo. Quello di Lortie è un Mozart aggiornato (il pianista canadese introduce come si faceva ai tempi di Mozart e come ormai si deve fare, qualche abbellimento, usa il pedale con molto garbo, evita sonorità eccessive) misurato e quieto, poco incline sia alla drammaticità corrusca e teatrale di un Richter sia alla levigatezza apollinea di un Perahia, un Mozart naturale e sempre espressivo, in cui nulla è artefatto. Lo hanno rivelato, in questo concerto milanese, soprattutto i due movimenti lenti, nei quali da poche note il pianista canadese ha saputo trarre meraviglie in piena sintonia con un’orchestra sempre pronta ad assecondarlo in ogni sfumatura espressiva, lo ha rivelato il Rondo conclusivo del Concerto K 595, incantevole e raffinato senza essere lezioso e vivace senza essere eccessivamente brillante, perché sotto le dita di Lortie ogni nota finisce per avere un peso e un colore diverso, come avviene quando un interprete lavora davvero su una partitura invece che limitarsi a un’esecuzione impeccabile e brillante.
Alla fine, dopo lunghi applausi, è arrivato un bis mozartiano pieno di chiaroscuri, la Fantasia in re K 397, una pagina tanto semplice nella struttura e nella scrittura quanto disorientante per l’interprete che non ne sappia valorizzare le sfumature. Qui Lortie ha esplorato l’intera gamma dinamica tra il PPP e il MP, esibendo d’altro canto un fraseggio mosso e nervoso, anche in questo caso senza eccedere nella ricerca di effetti teatrali e facendo emergere tutta l’inquietudine che si nasconde – avviene in Mozart come in Haydn – sotto la superficie di molte pagine del Classicismo viennese.
Luca Segalla