STRAUSS Don Juan MARTINŮ Rapsodia-Concerto per viola e orchestra; Memorial to Lidice STRAUSS Tod und Verklärung viola Antoine Tamestit Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Jakub Hrůša
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 28 maggio 2023
Quando Jakub Hrůša entra nella Sala Santa Cecilia per un concerto — bacchetta corta in mano e abbigliamento nero, ma quasi casual — sembra che entri in mezzo ad un gruppo di amici. I reciproci saluti ed applausi hanno ormai un tocco di confidenza o meglio, di quella usualità che dice gradito sia il ritornare che il riaccogliere. Domenica scorsa poi sembrava che nessuno volesse dar fine, dalle poltrone, ad una vera e clamorosissima ovazione; dal palco, ai ringraziamenti verso il pubblico e verso i solisti e le sezioni dell’orchestra, ancor più pregevoli dell’usuale nelle impervie partiture in programma.
Una volta tanto il titolo dato appunto al programma del concerto (è una moda non solo italiana), ossia Trasfigurazioni, aveva un qualche effettivo senso. Anche se, in verità, forse una riflessione sulla morte pareva ancor più esser il tema conduttore della serata: ovviamente con l’op. 24 di Strauss, ma anche con quel Don Juan dal funebre epilogo o quella pagina di Martinů, Memorial to Lidice, evocativa degli orrori nazisti in Boemia. Al centro c’era la raffinata e neoclassica Rapsodia-Concerto per viola e orchestra ancora di Martinů, quasi una sosta fra tali oscure cogitazioni.
Quanto all’esecuzione di tutto ciò udita a Santa Cecilia, ben si sa quali siano le difficoltà concettuali e tecniche d’un poema sinfonico come Don Juan. Che Hrůša ha letto come a dimostrarvi l’immensa energia che la totale libertà umana può sprigionare. Non solo beninteso su un piano meramente fonico: ove pur il direttore ceco ha suscitato forze che di rado avevamo udite di tal espansione e bellezza sonora: che son però l’esito di un grido della mente, d’una proclamazione dell’ego di prometeica e dunque blasfema superbia. La violenza dell’umanesimo del Don Juan di Strauss, nella lettura di Hrůša, alla fine giunge però a collocare a margine quella sensualità che un Karajan o uno Schippers rendevano dominante. El Burlador qui è invece divorato da una bramosia meramente esistenziale, da una sorta di trafittivo delirio d’onnipotenza al quale solo la morte dà pace. Inutile dire che di tal approccio è funzione un virtuosismo strumentale spinto alle sue estreme conseguenze: le entrate celeberrime dei corni, i soli dei fiati (l’oboe!), il violino di Andrea Obiso, le perorazioni degli archi, l’intera orchestra, hanno recepito e trasmesso tutto ciò, pur sempre con una stilizzazione e una modernità di suono che dicono esser il direttore ceco musicista del nostro tempo, sensibile alle tradizioni (nell’intervista sul numero 345 di MUSICA lo afferma senza remore), ma geloso “della propria autenticità”.
Per Tod und Verklärung, in chiusura di serata, il discorso poteva a prima vista parer simile: solo che la “trama” che sostanzia il capo d’opera straussiano s’atteggia più che a “poema” (i “versi” e il programma, com’è noto, vennero dopo) ad una sequenza di riflessioni prima su vita, agonia e morte dell’artista, poi ad una sua trasfigurazione intesa come accesso “all’infinita grandezza del cielo”. Quanto della Fenomenologia dello spirito di Hegel qui trasudi è inutile farlo notare. E Strauss ha ben scritto “trasfigurazione”, non “resurrezione”, sì che codesto cielo è certo più il laico “sapere assoluto” del filosofo, che quello cattolico della Seconda sinfonia di Mahler. Ad un’ermeneutica totale di cotale “macchina di pensiero” crediamo sia giunto solo Wilhelm Furtwängler. Hrůša ne ha fatto nella prima parte un’esperienza più simile ad Ein Heldenleben, dunque eccezionalmente pugnace e determinato nell’affermare l’eroicità del genio. Poi però ha saputo far trascorrere l’orchestra verso una totale rarefazione del suono e un allargamento dei tempi che alla fine hanno prodotto una sorta di metafisico incantamento.
Della Rapsodia-Concerto per viola e orchestra di Martinů, Hrůša e il virtuosissimo Antoine Tamestit (con la sua viola Stradivarius) hanno dato una versione che potrebbe finir dritta in CD (affiancandosi a quella di riferimento con Josef Suk e Vaclav Neumann), tanto esemplari ne erano e l’umbratile patina sonora e quella vena di malinconia che in Martinů sempre sottilmente corre. Nel Memorial to Lidice (del 1943, dieci anni prima della Rapsodia-Concerto) tal vena pulsava violentemente, facendosi prossima a spezzarsi per il dolore. L’esecuzione datane ne ha reso pienamente il senso d’ angosciato interrogativo su quel Mistero del Male non destinato ad aver risposta in questo mondo.
Del successo s’è già detto all’inizio. Hrůša e l’Orchestra ceciliana inaugureranno il prossimo Festival di Spoleto con un programma dedicato a Janáček. Pappano lo chiuderà con una serata interamente mahleriana.
Maurizio Modugno