DONIZETTI L’elisir d’amore J. Nuccio, G. Lucà, L. Lee, F. Polinelli, S. Celadin; Coro Lirico Veneto direttore Filippo Lovato Orchestra di Padova e del Veneto direttore Nicola Simoni regia Yamal Das Irmich scene e costumi Matteo Paoletti
Bassano del Grappa, Teatro Al Castello “Tito Gobbi”, 4 agosto 2019
L’elisir d’amore di Donizetti è un melodramma celeberrimo, tra i più rappresentati nei teatri italiani e stranieri. Fragile nella sua semplicità musicale e drammaturgica, abbisogna di idee e di cantanti sopraffini. Le idee, per lo meno quelle registiche, non sono mancate in questa co-produzione agostana del Teatro Verdi di Padova e di Bassano Opera Festival, affidata al giovane regista Yamal Das Irmich, per le scene e costumi a Matteo Paoletti. L’idea iniziale appare intrigante: la vicenda, nel libretto originale ambientata in un villaggio rurale del Paesi Baschi, viene trasposta ai giorni nostri, tristemente dominati dalla tecnologia e dalla dipendenza da essa, in particolare dai social con le loro fake news e dai videogiochi.
La scena si presenta come lo schermo di un computer, nel quale sfarfalleggiano i lunghi fili sottili del fondale “Tripolina”, su cui si stagliano delle proiezioni, per lo più la versione in tempo reale di quanto i protagonisti digitano sui loro pc, smartphone o sulle consolle dei videogiochi. La scena accoglie ora la cameretta di Nemorino, tappezzata di poster raffiguranti la bella Adina, ora la sede dell’associazione “Placebo – Associazione Adinarisponde”, di cui Adina è la life coach che accompagna un nutrito gruppo di persone (il coro, in tenuta ginnica e maglietta brandizzata) in un percorso di autoconsapevolezza e di autoaffermazione.
Se inizialmente la cosa sembra divertire, il continuo alternarsi tra le due situazioni sceniche alla lunga ingenera monotonia e prevedibilità. Ma, soprattutto, fa perdere uno degli elementi cardine della bellezza musicale del melodramma donizettiano: un’opera buffa, piena di allegria e umorismo, ma con tanto cuore e un fondo di malinconico disincanto. La scelta registica, invece, trascura con non poche incongruenze l’esprit del melodramma giocoso di Donizetti, lasciando che la parte malinconica e un po’ larmoyant, che caratterizza soprattutto il personaggio di Nemorino, venga mortificata da un continuo tourbillon di movimenti e da un’insistente ipercinesi di comparse e controscene.
Nemorino diventa una macchietta, Adina una donna in carriera acida e anafettiva, e il soldato Belcore uno scriteriato ludopatico, in tenuta militare ma che la guerra la fa nel mondo virtuale dei videogiochi. Diverte la trovata di trasformare Dulcamara in un mirabolante truffatore, maestro delle fake news, che riesce a incantare tutti rifilando on line prodotti “tarocchi”, spacciandoli per merce “portentosa”. A muoversi, con disinvoltura, sul palcoscenico bassanese un cast di livello disomogeneo: se spigliata – anche se un po’ acidula in alto – è apparsa l’Adina di Jessica Nuccio, non altrettanto si può dire del Nemorino di Giordano Lucà in possesso di una voce piccola e nasale. La sua “furtiva lagrima” non possedeva nulla di quanto ci si aspetterebbe da quest’aria: legato, grazia di fraseggio, malinconico ripiegamento. Ben più coinvolgente il Dulcamara di Filippo Polinelli, che veste i panni dell’imbonitore con buoni mezzi vocali, adeguata agilità e sostanziale correttezza. Stilisticamente non convince l’idea di cantare la “Barcarola” modificando artificialmente la voce e la dizione in stile da avanspettacolo. Il baritono coreano Leonardo Lee, vincitore del 29° Concorso Iris Adami Corradetti di Padova dello scorso anno, ha voce solida e piuttosto ampia, si sforza di dare significato alle parole ma tende, anche a causa della regia, ad esagerare. Buona anche la prestazione di Silvia Celadin nella parte di Giannetta.
Non ha giovato alla tenuta musicale la scelta di collocare l’orchestra sul palcoscenico dietro il fondale, impendendo in questo modo qualsiasi comunicazione tra cantanti e direttore, ridotta a dei monitor posti sul proscenio. Gli insiemi ne hanno risentito e anche l’impatto fonico dell’orchestra appariva sensibilmente deficitario. Nicola Simoni, alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto, non ha brillato per particolare vivacità e fantasia, limitandosi a sciorinare didascalicamente una partitura che offrirebbe non poche occasioni. Discreto il Coro Lirico Veneto, molto impegnato scenicamente.
Stefano Pagliantini