SCHUMANN Concerto per pianoforte in la op. 54 MOZART Sinfonia n. 40 in sol K 550 pianoforte Pietro De Maria I Pomeriggi Musicali direttore James Feddeck
Milano, Teatro Dal Verme, 5 febbraio 2022
L’eleganza di Pietro De Maria al pianoforte e la freschezza sul podio di James Feddeck hanno trovato un perfetto punto di incontro nell’appuntamento del 5 febbraio della stagione dei Pomeriggi Musicali, in un Concerto in la di Schumann interpretato con slancio, misura e soprattutto con classe. Da grande esperto del repertorio romantico — al suo attivo ha l’integrale discografica delle pagine pianistiche di Chopin — Pietro De Maria sa come rendere lo spirito visionario e i lirici abbandoni del Concerto schumanniano senza perdere di vista gli equilibri dell’insieme, perché il suo pianismo è fatto di sottigliezze e sfumature, di temi declamati a mezza voce piuttosto che cantati a pieni polmoni. Il celebre esordio del Concerto di Schumann, che sotto le sue dita appariva non troppo forte nelle sonorità né particolarmente appassionato, ha fissato subito il clima emotivo dell’intera interpretazione, volta ad evitare gli eccessi delle passioni a favore della ricerca di un lirismo sommesso e quieto, evidente fin dalla scelta di tempi molto larghi. Del resto il Concerto in la è percorso, come molte pagine di Schumann, da allusioni segrete che ne fanno una dichiarazione d’amore cifrata nei confronti di Clara, la moglie del compositore, e che autorizzano un’interpretazione più lirica che appassionata.
Certo, c’è anche un altro modo per interpretare Schumann, e basterebbe ascoltare una qualsiasi delle registrazioni di Martha Argerich per averne l’esatta immagine, che è quello di puntare proprio sulle passioni, sull’urgenza del comunicare, su un’espressività portata all’eccesso fino quasi a disgregare la tenuta della forma. Invece di andare verso l’esterno, gli slanci emotivi di Pietro De Maria sembrano muoversi nella direzione opposta, ripiegandosi nell’interiorità, come era evidente nell’Andantino grazioso del Concerto. La matrice di questo pianismo così sottile e misurato è nella scuola di Maria Tipo, con la quale Pietro De Maria si è perfezionato in gioventù, e la Sonata di Scarlatti offerta come bis al pubblico — numeroso e caloroso — ne è stata una riprova, una sonata brillante ed insieme tranquilla, piena di verve ma di una verve sottile, giocata sulla precisione di un gioco digitale volto a cogliere le più piccole inflessioni del timbro e delle dinamiche.
James Feddeck, che ad appena un anno e qualche mese dal suo arrivo ai Pomeriggi come direttore principale mostra di avere preso in mano l’Orchestra con autorevolezza, ha assecondato con attenzione le intenzioni del solista, in particolare nel movimento conclusivo, in cui era evidente la sintonia tra pianoforte e orchestra, ma anche nel primo movimento, il cui fraseggio respirava in modo molto naturale. Il problema è che i Pomeriggi non hanno il peso sonoro e l’amalgama timbrico ideali per sostenere il grande repertorio romantico, oltre al fatto in questa occasione gli archi non sono stati sempre impeccabili (le incertezze si sono avvertite in particolare nei passaggi fugati dell’Allegro vivace conclusivo) e sono apparsi un po’ troppo fissi nel timbro e nelle dinamiche.
Con la seconda parte — senza intervallo in mezzo, come ormai consuetudine per i concerti in tempo di Covid — James Feddeck ha cambiato passo in una Sinfonia in sol di Mozart affrontata di slancio, rapida e leggera, nel segno di un fraseggio scorrevole e pieno di chiaroscuri, non soltanto nell’Andante ma anche e soprattutto nell’iconico tema del Molto allegro di apertura. Era energico il Menuetto ed era molto vivace l’ultimo movimento, perché Feddeck, quando c’è bisogno, sa trovare la giusta verve ritmica, senza dover spingere più di tanto sull’acceleratore. Ed in Mozart i Pomeriggi sono apparsi decisamente più a loro agio, più reattivi e più precisi, per quanto gli archi tendessero sempre alla fissità timbrica a cui si è fatto cenno a proposito del Concerto schumanniano.
Luca Segalla
Foto: Lorenza Daverio