
GASSMANN L’opera seria P. Spagnoli, M. Olivieri, G. Sala, J. Lovell, J. Fuchs, A. Carroll, S. Gamberoni, A. Arduini, A. Allegrezza, L. Zazzo, F. Mineccia; Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici, Les Talens Lyriques, direttore Christophe Rousset regia e costumi Laurent Pelly scene Massimo Troncanetti
Milano, Teatro alla Scala, 9 aprile 2025
Serviva, questo repêchage? Forse no. Intendiamoci, accendere una luce su un momento così fecondo della storia della musica, quella Vienna degli anni ’60 del Settecento benissimo descritta da Raffaele Mellace nel programma di sala, è sempre interessante, così come la tematica meta-teatrale, che porta ad una interessante convivenza di forme e stilemi del genere serio e di quello comico, stimolante. Ma anzitutto la musica di Florian Gassmann, già maestro di Salieri, è di ottimo artigianato ma mai si eleva sopra il buon mestiere, sì che le tre ore e mezza (intervalli compresi) passano con una certa difficoltà, specie per un pubblico (quello che riempie la Milano della Design week e del Salone del mobile) totalmente privo di riferimenti culturali e storici, sia quelli che dovrebbero far scattare il meccanismo del comico legato alla parodia, ma persino per quanto riguarda la citazione petroliniana aggiunta verso la fine (“Più grande e più superba che pria”), difatti passata sotto silenzio. Detto con parole chiare: l’opera che prende in giro sé stessa funziona solo se si rivolge a un pubblico che quei codici già li conosce, altrimenti rimane solo qualche sorriso per le gag più dirette o per le tre mamme en travesti.
Christophe Rousset ha praticato qualche taglio, ma secondo me lo ha fatto male: eliminando la conclusione coreografica del secondo atto e tutti i riferimenti alla presenza del pubblico dell’opera che la compagna sta mettendo in scena nel terzo, ne ha snaturato parzialmente la drammaturgia. Né è sembrato nella sua forma migliore (ma neppure l’orchestra, un misto di professori scaligeri e dei suoi Talens Lyriques), in quest’ultima recita del ciclo dai colori spenti e dalle dinamiche attutite. Lo spettacolo di Pelly era molto sobrio, giocando sulla presenza di macchinisti-tecnici di scena onnipresenti che interagiscono con i cantanti, in una struttura dai colori tenui e seppiati (solo Fallito, l’impresario, è in abiti moderni: un normale abito) e molto agile. Tutto gestito con mano lieve e sapienza registica, ma forse serviva incidere più a fondo per tentare la sfida di far parlare al pubblico di oggi questa partitura di Gassmann.
Cast notevolissimo: dal Fallito di Pietro Spagnoli (uomo di teatro come pochi) al duo Mattia Olivieri-Giovanni Sala (il poeta Delirio e il musicista Sospiro), passando per lo squillantissimo “musico” Ritornello di Josh Lovell alle tre “donne” (con menzione particolare per la pepatissima Porporina di Serena Gamberoni), tutti gli artisti hanno mostrato mezzi vocali più che adeguati e molta convinzione. E addirittura un lusso era il trio Allegrezza-Zazzo-Mineccia per i pochi minuti riservati alle tre mamme delle cantanti. Ma i pochi minuti di applausi da parte di un pubblico che si era dato al fuggi fuggi già al secondo intervallo dimostrano che l’operazione Opera seria non ha funzionato, quasi (quasi!) da convincerci a dare ragione a quanto, alla fine del secondo atto, affermano Fallito e il coreografo Passagallo, ossia che «Dal cervello di qualche demonio / l’invenzione dell’opera in musica / per flagello degli uomini uscì».
Nicola Cattò
Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala