VERDI Luisa Miller C. Saitta, K. Yoshida, A. Zhu, A. Comes, G. Kim, A. Panza, C. Meldolesi; Orchestra I Pomeriggi Musicali, Coro OperaLombardia, direttore Carlo Goldstein regia Frédéric Roels scene e costumi Lionel Lesire
Como, Teatro Sociale, 27 ottobre 2023
Cosa c’entra il Cappellaio Matto della Alice nel paese delle meraviglie di Tim Burton con Luisa Miller di Verdi? Niente, ovviamente: ma non per il regista Frédéric Roels, che nell’allestimento proposto a Como (e coprodotto non solo con i teatri del circuito di OperaLombardia, ma con ben altri tre tra Francia e Polonia) inventa questa curiosa similitudine. Certo, il personaggio di Wurm (ossia il Cappellaio Matto…) è, nella drammaturgia verdiana, uno dei più singolari nel tentativo di far convivere, quasi scespirianamente, il tragico con il grottesco, l’alto con il basso: che però questa sia una soluzione teatralmente funzionante, stenterei a crederlo, così come non mi pare di grande gusto un Conte Walter vestito con abito color oro-Gomorra, con tanto di crine tinto in pendant. Ma d’altronde tutto l’allestimento è in pari misura brutto a vedersi (la citazione di Caravaggio e De la Tour nell’intervista pubblicata nel programma di sala lascia a bocca aperta) e banalissimo nella gestione di movimenti e relazioni: uno spazio indistinto, con oggetti mossi a vista da personale nerovestito in modo quasi parrocchiale e un’accozzaglia di livelli temporali (ah già: “la dimensione atemporale del teatro verdiano”) davvero riprovevoli.
Molto meglio, per fortuna, andavano le cose sul fronte musicale: Carlo Goldstein inizia con prudenza, in una Sinfonia molto ben bilanciata ma un po’ cincischiata nel fraseggio, per adeguare poi la sua concertazione ai diversi livelli di un’opera che, nei suoi tre atti, si presenta molto diversa, dalle atmosfere bucoliche, simil-Sonnambula dell’inizio al rovente dramma, degno del Verdi maturo, del finale. L’orchestra dei Pomeriggi non appare in grande forma, ma Goldstein sa trovare sempre il colore giusto per la situazione drammamtica (penso per esempio al duetto Rodolfo-Federica, dove le strofe dei due solisti, pur simmetriche nella scrittura vocale, hanno ben diverso peso orchestrale), parametrando tutto alle possibilità dei cantanti, che vengono sostenuti, aiutati quando necessario, e sempre spronati. E certamente nelle tante repliche previste questa direzione (che non pratica alcun taglio alla partitura) acquisirà ancora maggiore spontaneità. Nel cast di giovani provenienti dal concorso Aslico appare inadeguato solo il basso Cristian Saitta (Walter), vocione imponente ma sgraziatissimo nell’emissione, mentre il suo collega di corda, Alberto Comes (Wurm), al di là del ridicolo aspetto scenico di cui si è detto, caratterizza con sottigliezza la bramosia e la malvagità del suo personaggio, volgendo in efficaci accenti talune asperità del canto. Ottima la Federica della cinese Aoxue Zhu (un ruolo piccolo, certo, ma musicalmente splendido), dal timbro davvero seducente, e nel complesso ben gestita da parte del coreano Gansoon Kim la figura di Miller, tipico personaggio baritonale del primo Verdi che richiede ampiezza di linea, squillo fino ai tanti Sol acuti e una nobiltà di fraseggio che unisca calore e colore. La sua voce non è d’eccezione, ma il personaggio ne emerge con buona efficacia: e discorso simile si può fare per il Rodolfo del giapponese Kazuki Yoshida, dal timbro schiettamente “all’italiana”, un po’ piccolo di volume, ma inappuntabile nei fondamenti tecnici (legato, squillo, dizione) e capace di compensare taluni limiti, specie nei momenti più arroventati del terzo atto, con grande gusto, sobrietà e partecipazione.
Una spanna sopra tutti è però la Luisa di Alessia Panza: Luisa Miller, si sa, è un ruolo molto difficile perché se l’aria d’entrata richiede una voce leggera nei tanti picchiettati della coloratura, il secondo e il terzo atto spingono la scrittura verso il Verdi maturo, che esige centri timbrati, compattezza di registri e una coloratura di forza (“A brani, a brani o perfido”) di chiara impronta drammatica. La cantante bresciana esce con onore da “Lo vidi e il primo palpito” e si copre di gloria negli atti successivi: certo, forse le manca ancora la febbrile visionarietà di momenti come “La tomba è un letto”, ma l’intensità della citata cabaletta, la compattezza della voce, il volume e lo squillo degli estremi acuti sono qualcosa che non si trova tutti i giorni. Una cantante da seguire con attenzione. Di buona routine la prestazione del coro, e applausi per tutti, con particolare calore per la protagonista. Si replica negli altri teatri lombardi nelle prossime settimane.
Nicola Cattò
Foto: Alessia Santambrogio