MOZART Requiem G. Semenzato, S. Mingardo, J. Prégardien, N. Di Pierro; Orchestra e Corpo di ballo del Teatro di San Carlo; Coro dell’Ensemble Pygmalion, direttore Raphaël Pichon, regia, scene, costumi e luci Romeo Castellucci
Napoli, Teatro di San Carlo, 20 maggio 2023
Nel gioco del teatro la manipolazione e perfino lo stravolgimento di una composizione celebre com’è la Messa di requiem in Re minore K 626 di Mozart è sempre ammissibile. Ma la partitura originale di Mozart, anche se spuria perché completata dal suo allievo Süssmayr, ha una sua riconosciuta, intangibile unità, che in questa messinscena viene invece stravolta. Nulla da dire, purché: il a) risultato funzioni drammaturgicamente; b) il rimaneggiamento si dichiari apertamente nel titolo.
Non ha infatti molto senso chiamare “Requiem di Mozart” questo pastiche musicale, filosofico e religioso in cui tutto si mescola con tutto, musica sublime e feste di piazza, auto fracassate e nudi collettivi, con il collante di un sincretismo filosofico e religioso il cui messaggio finale riguarderebbe la fragilità e la vanità delle cose del mondo, la caducità delle piccole e grandi certezze di noi poveri mortali, ma con un (immancabile) messaggio finale di fiducia nella rinascita.
Può piacere o non piacere (e a tantissimi è legittimamente piaciuto), ma lo si chiami “Requiem di Castellucci” tratto da Mozart. Oltre a pensare alle trovate sceniche, il regista, insieme al direttore musicale Raphaël Pichon, ha inserito nel Requiem canti gregoriani e altri brani dello stesso Mozart: il collage musicale e scenico in partenza sembrava intrigante, ma poi tanta concettosità è rimasta in grumi che non si scioglievano nell’azione drammatica, affaticando la fluidità della messinscena.
Si iniziava con una donna sola che vedremo attraversare le fasi della vita; poi un ragazzo che giocava a calcio con un teschio; e ancora, riti sacri di varie religioni, gesti allegorici, tableaux vivants di varia ispirazione, ma soprattutto danze. Le coreografie semplici di Evelin Facchini, piene di vita e di colore, ispirate al folklore di popoli vicini e lontani, erano volutamente in contrasto con la cupezza del Requiem,
Durante tutta la rappresentazione, sul fondale veniva proiettato un “Atlante delle grandi estinzioni”, ovvero il catalogo (non ragionato!) di quel che si è definitivamente perso nei millenni della storia del mondo: specie viventi (animali e vegetali), lingue, popoli, città, architetture, fino all’elenco delle prossime estinzioni che toccheranno direttamente i napoletani: dal Vesuvio a Piazza Plebiscito al Teatro San Carlo; e poi si estingueranno le emozioni, l’amicizia, l’io, gli altri, e bla bla bla. Un “memento mori” pedantesco e lugubre, un grande buco nero verso cui tutti siamo diretti, che veniva però controbilanciato dalla promessa di una rinascita finale, rappresentata da un neonato posto sulla scena in chiusura di sipario. Sul fondale restava una data: 20 maggio 2023, ovvero la data dello spettacolo a cui abbiamo assistito, quasi a significare che il mondo finisce e comincia oggi.
Con tutta questa carne al fuoco, l’aspetto musicale è passato giocoforza in secondo piano, dato che lo spettatore doveva barcamenarsi tra la lettura delle estinzioni e la decrittazione delle allegorie in scena; ed è stato un peccato, poiché invece coro e solisti, accompagnati da una eccellente orchestra, hanno offerto una prova notevole.
La partitura di Mozart, interpolata, come si diceva, con altri brani, è stata interpretata con magistrale intensità dall’ensemble francese Pygmalion, guidato da Raphaël Pichon. Erano loro i veri protagonisti della serata, chiamati, oltre che a cantare, a coordinarsi con i ballerini e con i cantanti solisti in scene d’insieme, a cambiare spesso costume, fino a restare alla fine nudi nelle tenebre, poco prima del vagito del bebè che annunciava la vita che si rinnova.
I solisti in questa composizione notoriamente sono succedanei del coro, che è il vero protagonista. La loro esibizione è stata comunque ragguardevole: il soprano Giulia Semenzato, il mezzosoprano Sara Mingardo, il tenore Julian Prégardien e il basso Nahuel Di Pierro erano molto ben assortiti. La Semenzato mostrava il suo timbro sicuro, amabile e ricco allo stesso tempo. La Mingardo ha cantato in modo coinvolgente ed emozionante; anche Prégardien e Di Pierro hanno molto ben impressionato. Coro, ballerini e solisti hanno mostrato una buona tenuta d’insieme: una nota di merito va al giovane César Badault, dalla voce chiara e sicura. Pichon ha condotto con grande acutezza ed equilibrio, adeguando ragionevolmente i tempi ai movimenti che si succedevano in scena.
Lorenzo Fiorito
Foto: Luciano Romano