Pubblichiamo qui di seguito l’introduzione, scritta appositamente per il sito di MUSICA, all’articolo su Maria Callas scritto da Ettore Napoli nel numero 289 (settembre 2017), disponibile in edicola e online.
Alle 17 del 16 settembre 1977 la radio e la televisione francesi interrompono le trasmissioni per leggere un brevissimo comunicato: «La cantatrice Maria Callas est decedée cet après-midi à son domicile parisien, à l’âge de cinquante-trois ans». La notizia è ripresa quasi in tempo reale da radio e televisioni di tutto il mondo, moltissimi quotidiani la pubblicano in edizioni straordinarie. Il «domicilio» è un lussuosissimo appartamento in Avenue Georges Mandel 36, dove abitava da qualche anno dopo la rottura della relazione con Aristotele Onassis, scomparso l’anno prima, che aveva alimentato per anni il gossip internazionale sin da quando era iniziata nell’estate del 1959, a bordo dello yacht Christina dell’armatore greco (su YouTube è possibile «visitare» l’appartamento).
La governante Bruna, dalla quale non si era mai separata, sin dei tempi del matrimonio con Giovanni Battista Meneghini, non ha mai cambiato versione sulle circostanze della morte, che si possono così sintetizzare: dopo essersi svegliata, come sempre molto tardi, dalla camera da letto è andata nella stanza da bagno adiacente, il suo locale preferito, ampio, rivestito di marmo e specchi e con una grande poltrona di velluto in un angolo. A un certo punto si è udito un tonfo. Riversa sul pavimento, al medico faticosamente trovato non è restato che constatarne il decesso per collasso cardiocircolatorio, al quale forse ha contribuito l’uso prolungato, e in dosi sempre più massicce, del Mandrax, o Metaqualone, un potente farmaco antidepressivo che assumeva da molti anni insieme ad altre medicine, come si legge anche nella sua ultima lettera del 21 febbraio 1977, indirizzata al padrino e confidente di una vita Leo Lantzounis, nella quale parla di una pressione «ottanta di massima, cinquanta di minima» e aggiunge: «Ora sto facendo una cura di iniezioni. Mi sento a terra e svuotata di ogni desiderio, ma tra una settimana sarò di nuovo normale».
Le circostanze della morte e di quanto accaduto subito dopo alimenteranno per anni, se non per decenni, misteri e leggende che si possono riassumere in alcune domande. Perché non è stata fatta l’autopsia? Che significato dare al bigliettino azzurro con il logo «Savoy Hotel London» trovato in un libro sul comodino sul quale si leggono, di suo pugno, una data («Estate ‘77»), poco più in basso una sigla («a T», presumibilmente l’iniziale di Titta, il soprannome con il quale chiamava il marito) e ancora più giù i versi della prima strofa dell’aria del IV atto de La Gioconda «In questi fieri momenti / tu sol mi resti» omettendo però la parola iniziale «Suicidio», dalla quale trae il titolo? Di chi è la firma illeggibile che, come prescriveva la legislazione francese, ha autorizzato la cremazione del corpo, da lei per altro espressamente indicata nel testamento olografo? Sono le sue le ceneri disperse nel giugno del 1979 al largo del golfo greco di Saronico, dal cui promontorio secondo la mitologia il re Egeo si è gettato in mare convinto che il figlio Teseo fosse stato ucciso dal Minotauro (al ritorno da Creta Teseo aveva issato per errore le vele nere e non quelle bianche)? Le cronache del tempo dicono che, dopo la cerimonia nella Chiesa greco-ortodossa del 16° arrondissement, l’urna depositata nel prestigioso cimitero di Père Lachaise dopo pochi giorni scompare; qualche giorno dopo in un viale del cimitero è trovata un’urna abbandonata. I milioni di fan sparsi in tutto il mondo si sono subito posti la domanda se fosse davvero la sua. Ad ogni modo, custodita in una cassetta di sicurezza di una banca, un paio di anni dopo il governo greco ne richiede la consegna e provvede poi a spargere le ceneri su quel mare greco dalle cui sponde George ed Evangelia Kalogeropoulos, trentacinque anni lui e ventiquattro lei […]
Ettore Napoli
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