PERGOLESI La serva padrona L. Micheletti, E. Balbo, G. Bongiovanni
BERNSTEIN Trouble in Tahiti L. Micheletti, E. Balbo, M. Maggiore, M. Pierattelli, A. Porta
Orchestra del Teatro Carlo Felice, direttore Alessandro Cadario regia Luca Micheletti scene e costumi Leila Fteita luci Luciano Novelli
Genova, Teatro Carlo Felice, 30 gennaio 2022
L’accostamento tra due opere brevi separate da ben duecentovent’anni, sull’esile filo comune delle (peraltro diversissime) dinamiche di coppia sulle quali sono incentrate, poteva di primo acchito sollevare qualche perplessità; e non credo francamente che questo doppio allestimento, nuova produzione del Teatro, le abbia dissipate del tutto. Sta di fatto però che ne è risultato uno degli spettacoli più brillanti che si siano visti al Carlo Felice negli ultimi anni, grazie all’alta qualità di ideazione e realizzazione, alla vivacità dell’evento teatrale e alla perfetta integrazione di tutti i fattori in gioco. Nella Serva Padrona di Pergolesi i credibilissimi protagonisti — che i costumi associavano alle maschere di Pantalone e Arlecchino, anzi Arlecchina — erano infatti affiancati da un attivissimo Vespone/Brighella, interpretato da uno dei grandi eredi della nostra tradizione teatrale, Giorgio Bongiovanni; sostenuti dal clavicembalo fantasioso e reattivo (giustamente «esposto» a lato del palcoscenico) di Silvio Restani; incalzati da un’orchestra flessibile e pronta a interagire spiritosamente con il palcoscenico (evocando ad esempio il mozartiano Commendatore all’apparizione di Vespone/Capitan Tempesta); il tutto integrato appunto in una regia mobilissima, inserita alla perfezione in un teatrino modulare e mobile che presentava tre ambienti-chiave: la camera da letto, la cucina, il salottino.
Coppia anche nella vita, ideatori del doppio spettacolo durante il lockdown, Luca Micheletti ed Elisa Balbo hanno presentato due ritratti molto convincenti: se la vocalità autenticamente baritonale del primo risparmiava a Uberto una fisionomia troppo macchiettistica, pur arricchendo il personaggio con una notevole varietà di inflessioni (vedi l’Aria «Son imbrogliato io già»), la seconda presentava una Serpina piccante e graziosissima. Questa Serva padrona avrà accontentato anche chi rimpiange il duetto finale «Per te ho io nel core», preso in prestito da Il Flaminio, che le vecchie edizioni preferivano a «Contento tu sarai»: Micheletti infatti ha avuto la buona idea di proporlo ad intermezzo concluso, mentre i due protagonisti si cambiavano a vista (con abiti che cromaticamente tracciavano un collegamento tra le due coppie) trasformandosi in Sam e Dinah di Trouble in Tahiti.
L’atto unico di Leonard Bernstein (poi confluito nel più cupo A quiet place) ha dato luogo a uno spettacolo se possibile ancor più riuscito, anche nell’interpretazione dei protagonisti: la Balbo ha saputo trasmetterci tutti i languori e le malinconie di Dinah, e se i recitativi dell’opera di Pergolesi rivelavano nella sua vocalità qualche sfumatura asprigna, queste risultavano utilissime per le scaramucce domestiche («Make it yourself») e per i passaggi più grotteschi della scena in cui la donna racconta del film del titolo («What a movie!»); in una situazione peraltro differente da quella prevista dal libretto (qui compare seduta sulla lavatrice), che ne accentuava ancor più la disperata solitudine. Da parte sua, il nucleo timbrato e virile della voce di Micheletti metteva allo scoperto l’aggressività per così dire ontologica di Sam, ma infondeva anche una tinta tragica a momenti come l’incontro casuale con Dinah nella quarta scena, apoteosi dell’incomunicabilità di coppia (che si inventa appuntamenti inesistenti pur di non pranzare insieme).
I moduli scenici tornavano anche qua, in maniera ancor più dinamica e felice, componendo con grande fluidità, sotto il guscio di analoghe «casette», le differenti ambientazioni (la casa dei protagonisti, l’ufficio di Sam, lo studio dello psichiatra e così via); riuscendo a suggerire, come Micheletti scrive nelle Note di regia, «il sogno di plastica della vita suburbana dell’America del boom», quasi convincendoci che anche in questo caso si tratti di due «maschere», stavolta contemporanee: quelle dell’uomo di affari incline alle «distrazioni» da una parte, della casalinga frustrata dall’altra. L’interazione con la coppia era qui garantita dal Trio Jazz, che nell’opera di Bernstein ha quasi la funzione di un coro della tragedia greca, il quale tentava (invano) di evitare ai protagonisti i loro errori. Nel trio svettava la voce morbida e flessibile di Melania Maggiore, di formazione lirica ma attiva anche nel canto extraclassico; hanno sorpreso però per la loro duttilità anche due vecchie conoscenze del Carlo Felice come Manuel Pierattelli e Andrea Porta. Un plauso speciale, poi, per l’orchestra del teatro, diretta con grande sensibilità stilistica da Alessandro Cadario: la compagine infatti (in formazioni ovviamente assai differenti) si è mostrata perfettamente a suo agio sia nell’opera di Pergolesi, dove ha saputo offrire e scatto e levità (ad esempio in «A Serpina penserete»), sia nelle particolari atmosfere, tra Broadway e Stravinski, di Trouble in Tahiti.
Le due opere non erano mai state proposte in precedenza dal teatro lirico genovese, anche se il doppio allestimento è stato trasmesso in anteprima nello scorso aprile sul canale streaming del Carlo Felice. Nonostante lodevoli iniziative promozionali del Teatro (dirette ad esempio agli studenti) alla recita a cui ho assistito si notavano in platea ampi spazi vuoti. Speriamo che i prossimi titoli, forse più accattivanti per i melomani, sappiano convincere che a teatro, grazie alle regole, ai controlli e alla lodevole autodisciplina degli spettatori, si può venire in tutta sicurezza: «in un momento storico in cui non ne vogliamo e non ne dobbiamo fare a meno», come giustamente scrive, ancora, l’artefice di questo spettacolo.
Roberto Brusotti