MOZART Le nozze di Figaro Andrei Bondarenko (Conte), Ekaterina Scherbachenko (Contessa), Alex Esposito (Figaro), Olga Kulchynska (Susanna), Paula Murrihy (Cherubino), Daria Telyatnikova (Marcellina), Evgeny Stavinsky (Bartolo), Krystian Adam (Basilio), Danis Khuzin (Curzio), Fanie Antonelou (Barbarina), Garry Agadzhanyan (Antonio)
MOZART Kyrie K 341 (K 368a); Cantata Davidde penitente, K 469: coro e soprano “Alzai le flebili voci al Signor”, coro “Cantiam le glorie”, aria “Lungi le cure ingrate”; La clemenza di Tito: Marcia, coro “Serbate, oh Dei custodi”, aria di Sesto “Deh per questo istante solo”, Ouverture, aria di Sesto “Parto, parto, ma tu ben mio”; Don Giovanni: Ouverture, recitativo e aria di Donna Elvira “In quali eccessi, o numi…Mi tradì quell’alma ingrata”; Così fan tutte: Ouverture, duetto di Fiordiligi e Ferrando “Fra gli amplessi in pochi istanti”; Maurerische Trauermusik K 477; “Ch’io mi scordi di te?…Non temer, amato bene” K 505, recitativo e aria per soprano, pianoforte e orchestra.
MOZART Don Giovanni Dimitris Tiliakos (Don Giovanni), Robert Lloyd (Commendatore), Nadezhda Pavlova (Donna Anna), Kenneth Tarver (Don Ottavio), Federica Lombardi (Donna Elvira), Kyle Ketelsen (Leporello), Ruben Drole (Masetto), Christina Gansch (Zerlina)
MOZART Così fan tutte Nadezhda Pavlova (Fiordiligi), Paula Murrihy (Dorabella), Konstantin Suchkov (Guglielmo), Mingjie Lei (Ferrando), Cecilia Bartoli (Despina), Konstantin Wolff (Don Alfonso)
Soprano Cecilia Bartoli, tenore Mingjie Lei, fortepiano Maria Shabashova, clarinetto di bassetto Florian Schüle Coro e orchestra musicAeterna direttore Teodor Currentzis
Lucerna, Lucerne Festival, KKL Konzertsaal, 12 – 15 settembre 2019
Esce finalmente lui, fra gli applausi che festeggiano Le Nozze di Figaro appena concluse al Festival di Lucerna, e tutto il pubblico della meravigliosa KKL Konzertsaal, come fosse una gigantesca orchestra col suo direttore, si alza simultaneamente in piedi in un delirio di emozionate ovazioni. Cose mai viste, almeno dai tempi di Claudio Abbado. È Teodor Currentzis, il direttore greco che fa tanto parlare di sé e che quest’anno ha creato un vero evento all’interno del famoso festival internazionale di Lucerna, il quale, fra cospicue risorse, si può permettere di aprire scenari inauditi, come questa indimenticabile trilogia Mozart-Da Ponte in forma di concerto realizzata tutta d’un fiato. Quattro giornate consecutive dal 12 al 15 settembre in chiusura del festival 2019 centrato sul tema del “potere”, con un concerto tutto mozartiano insieme a Cecilia Bartoli intercalato fra Nozze di Figaro e Don Giovanni.
Ci sono almeno quattro aspetti fondamentali che emergono da questa immensa lettura mozartiana portata a termine da Currentzis e che sfida quanto fino ad oggi ascoltato: 1) l’incredibile quantità d’idee e informazioni che egli fornisce battuta per battuta, frase per frase, scena per scena, atto per atto, da micro a macrostrutture, in cui ogni figura assume un preciso ruolo nel percorso musicale; 2) l’importanza di avere un cast totalmente in simbiosi con la concertazione ma anche col testo: se Currentzis lo domina e lo plasma da un lato come raramente o quasi mai si sente, le voci non sono state sempre all’altezza del risultato orchestrale e dei significati testuali, testimonianza della grande difficoltà di queste pagine (specie se poi le stesse salgono sul palco a fianco o a ridosso di una cantante come Cecilia Bartoli), pur mantenendo una coerenza stilistica che evitava accuratamente eccessi di vibrato; 3) il suono dell’orchestra deve sempre essere bello, lavorato, preciso in ogni inflessione, flessibile, e l’orchestra musicAeterna – creata da Currentzis – ha raggiunto l’obiettivo grazie a un lavoro enorme a monte, di assoluta concentrazione, che porta una concezione storicamente informata sempre entro un suono caldo e mai aspro, anche negli accenti più forti; 4) è fondamentale e irrinunciabile per ogni direttore e ogni orchestra assimilare, comprendere e continuare a studiare il linguaggio del classicismo e di Mozart, base imprescindibile per poter affrontare praticamente tutto.
Sfatiamo inoltre certe ridicole banalità da giornalino che hanno descritto Currentzis come “enfant terrible”, “dark”, “rock” o scemenze simili. I “musicisti”, come anche gli ascoltatori, si dividono in due grossi gruppi: quelli che girano intorno alla musica e quelli che ci entrano profondamente, che la vivono. Currentzis è semplicemente uno di questi ultimi. Gli altri la descrivono. Il rapporto fra la propria corporeità e il dirigere è poi strettamente personale, ma ciò che conta prima di tutto è lo studio, e di studio severo Currentzis ne ha fatto, di lavoro come direttore stabile per anni pure. Stiamo parlando prima di tutto di un grande professionista. Al di là dei dischi, visto che Currentzis ha già inciso la trilogia, ma con cast diversi, bisogna immergersi per quattro giorni in questo mondo mozartiano dal vivo prima di esprimere scetticismi e preoccupazioni verso chi ci porta, finalmente, una ventata di novità. Anzi, un ciclone.
L’ouverture delle Nozze di Figaro – cui seguono secondo l’ordine cronologico di composizione le altre due opere nelle successive serate – apre la folle giornata (anche per il pubblico) lasciando subito insistere Currentzis su geometrie interne enfatizzando una serie di sforzati come anticipazione di eventi imminenti, e che di fatto ritroveremo nel corso delle prime scene, richiami comici ma anche militareschi (si pensi a “Non più andrai farfallone amoroso”) o di danza (il fandango del terzo atto). La folle giornata vive poi nella frenesia dell’impeccabile articolazione interna di ogni battuta, convivendo però con le grandi arcate di frase che uniscono le sezioni in un unico respiro. È questo senso di unità totale che rapisce e travolge tutti fin da subito. L’irrefrenabile energia, fra tempi generalmente mossi o apparentemente rapidi per la chiarissima articolazione interna e microdefinizioni esemplari, si associa a dilatazioni poetiche e contemplative, alla leggerezza di tinte che incorporano la nobiltà dei sentimenti. Quelle cosiddette continue “direzioni” del fraseggiare degli ensemble barocchi vengono liberate da automatismi e rigidità, condotte invece sempre all’interno della profondità del sentire.
L’orchestra su strumenti d’epoca si muove con agilità fra contrasti vivissimi, che per Currentzis devono stravolgere il mondo ordinario della vicenda e quanto vi si sia da sempre stato di più ordinario e paludato nella tradizione esecutiva di questi capolavori, spesso troppo semplificati. Si suona in piedi, l’affiatamento regna sovrano. L’assieme perfetto dell’orchestra partecipa con una definizione dei dettagli inusitata, anche se abbiamo trovato migliori gli archi rispetto ai fiati, meno indagati nelle loro proprietà concertanti e solistiche fra alcune rigidità. Desta sorpresa nei recitativi secchi la presenza dell’arciliuto, come un intruso, e di una chitarra barocca (ma per Don Giovanni ci sarà anche una mandolinista). Impeccabili e ironici, senza mai stare sopra le righe, in un brulicare di atteggiamenti, gli interventi del fortepiano immerso in una poesia delicata e suonato da Maria Shabashova, allieva di Andrea Marcon all’Accademia di Basilea, solista nell’aria concertante con la Bartoli.
Currentzis tratta le voci stesse come un’orchestra, concertando solisti e coro in un unico compatto organismo, dove lui e solo lui è guida assoluta e sicurissima. Persino brevi sezioni di alcuni recitativi secchi trovano in certi suoi interventi gestuali degli assestamenti determinanti nell’evoluzione del dialogo. Voci maschili più interessanti di quelle femminili in queste Nozze, ma è la mano di Currentzis che domina tutti, tenendo sempre in pugno la dinamica dell’azione, evidente soprattutto negli equilibri dei concertati in tutte le opere, e che appende le emozioni, sottolineando, ad esempio, tutta la fragilità del Conte nel filo di voce con cui chiede perdono nell’epilogo, o la poesia infinitamente ricercata nelle arie femminili. Quella della contessa all’inizio del secondo atto apre uno scenario meditativo commovente per l’equilibrio e l’intreccio con l’orchestra della voce delicatissima di Ekaterina Scherbachenko, come raramente abbiamo sentito. Spicca Alex Esposito come Figaro, più esplosivo rispetto ad alcuni anni fa nel celebre ruolo, con una parte ancora più recitata, senza rinunciare a sillabati rapidissimi che enfatizzano la comicità.
Energia a fiumi in Don Giovanni, nella fortissima realizzazione del divenire dell’azione, da una gestualità concitata, che coinvolge tutti, ma controllatissima, e che travolge subito il palcoscenico con l’ouverture, opera che Currentzis centra soprattutto nella sua dimensione orchestrale più che vocale, come se la compagine strumentale fosse il magnete in grado di attirare e muovere l’agitazione di tutti i personaggi, catapultati in un vortice di eventi e azioni. Ci mostra ciò che tormenta fra le righe e che non si dice ma che avvolge la magia del teatro mozartiano, fa brillare ogni figura musicale della sua unicità, cura nuovamente l’equilibrio nei concertati e dei concertati con l’orchestra, colpisce soprattutto per la fantasia e la varietà di atteggiamenti nei recitativi accompagnati. Migliori le donne degli uomini, anche se Nadezhda Pavlova (Donna Anna) ha presentato non poche incertezze, incassando pure qualche buh, fermo restando però che il giorno dopo ha cantato anche come Fiordiligi, cosa non facile. Ricordiamo Paula Murrihy, molto brava nel doppio ruolo di Cherubino e Dorabella. Un po’ opache le voci maschili, con un Don Giovanni non sempre convincente, uno sfocato Commendatore e un modesto Ottavio. Fra diverse discontinuità la scelta dei cast si è rivelata faticosa, ma sostanzialmente nella media che siamo abituati ad ascoltare, con qualche momento di bravura. Pur riscontrando sempre un coinvolgimento totale, ci saremmo aspettati una minore ripetitività nel fraseggio e nel rapporto coi significati del testo italiano. L’esecuzione s’interrompe dopo la morte di Don Giovanni; luci e applausi, artisti fuori. Finisce qui? No, è solo una lunga insolita pausa prima di passare al vero epilogo, virtuosistico e travolgente. Anche questo è teatro.
Di Così fan tutte Currentzis predilige invece la dimensione più poetica e malinconica rispetto alle due opere precedenti. Nel concertato di Don Alfonso con Fiordiligi e Dorabella del primo atto “Soave sia il vento” ci mostra un corteo di sentimenti come non si è mai sentito, la pura semplicità disarmante della musica di Mozart. In Così fan tutte l’attacco di ogni frase è ancora più delicato rispetto alle altre opere, anche la marcia militare risuona leggera come non mai, quasi eco di un ricordo, comunque intrisa di energia ed ampie escursioni dinamiche; l’elemento ritmico viene esaltato nella sua forza comunicativa e cinetica. Il cast si adagia in questa visione di serenità, in cui si sfoca un modesto Don Alfonso, che dovrebbe invece mostrare il suo autorevole ruolo di manovratore, mentre all’opposto si muove la Bartoli, anche fin troppo nella parte, con una presenza scenica travolgente, ma rinchiudendo Despina in una dimensione troppo farsesca. Bravissimo Mingjie Lei in “Un’aura amorosa”, dalla contemplativa intensità poetica. Comprendiamo quindi le tre dimensioni della trilogia secondo Currentzis: Le nozze di Figaro ipercinetica, nella follia delle relazioni e della rapidità delle loro evoluzioni, dove tutto ha una propulsione anterograda orizzontale; Don Giovanni ipercromatica, in cui regna il dramma e la verticalità della profondità dei contrasti interiori, quasi senza limiti; Così fan tutte contemplativa, appesa nell’indefinitezza di relazioni amorose dalla poesia sfumata e melancolica.
Di passaggi indimenticabili, che non abbiamo mai sentito, ne potremmo elencare, e che toccano nel profondo la natura penetrante della musica. Di fatto, Currentzis non inventa nulla, se non mettere in evidenza con chiarezza la partitura, come se vedesse con immensa semplicità cose di cui altri non si sono mai accorti: il legato così pastorale nella prima scena con coro delle Nozze; l’incredibile magia della ripresa in pianissimo in “Dove sono i bei momenti” con un diminuendo mai sentito; la leggerezza assoluta dei fiati fra nuove articolazioni in “Voi che sapete”, che diventa una serenata; la sfuggente rapidità dell’aria del catalogo; due crescendo improvvisi che nessuno si aspettava, perfettamente funzionali, nella scena del Commendatore; il diminuendo improvviso, sconvolgente, all’inizio di Davidde penitente. Dettagli? No, fanno la differenza, eccome.
Cecilia Bartoli si unisce per la prima volta a Currentzis in un sodalizio audace, una sfida piena di sorprese sospesa tra il sacro e il profano, includendo una carrellata di arie dalla trilogia. Notevole la scelta di proporre alcuni estratti dalla Cantata Davidde penitente K469 che Mozart derivò dalla Messa in do minore. La modernità di Mozart rispetto ai suoi contemporanei emerge dal fraseggio scolpito da Currentzis con una precisione millimetrica: mentre orchestra e coro si allineano incredibilmente in un unico suono senza alcuna divergenza, compare la Bartoli, come un’apparizione da chissà quale galassia, in costume d’epoca maschile, che scolpisce la celebre e poetica melodia dell’aria “Alzai le flebili voci al Signor” tratta dal Kyrie della Messa in do minore mostrandone i tratti più drammatici nella nuova veste oratoriale, con contrasti intensi e capacità tecniche inaudite, se si pensa al legato – quante lo sanno fare? – dal la bemolle grave al re (quarto rigo) quindi al la bemolle acuto. Se poi aggiungiamo le colorature dell’Amen dall’Exsultate jubilate eseguito come fuoriprogramma, il cerchio si chiude in una maestria tecnica che sfido a ritrovare. Tralasciando ammiratori e detrattori, l’uso controllato del vibrato si bilancia con un fraseggio luminoso, dalle infinite sfumature caratteriali e di dinamica, per cui ogni brano assume una dimensione unica, anche perché lei stessa è già nella parte prima ancora di aprire bocca. E siccome Currentzis nel suo essere artista autentico mostra inequivocabilmente di accorgersi di quello che altri non vedono, la meravigliosa aria di Sesto con clarinetto di bassetto concertante “Parto, ma tu ben mio” da La clemenza di Tito si trasfigura magicamente col clarinettista (bravissimo Florian Schüle) che dialoga davanti all’orchestra insieme alla Bartoli come fosse un personaggio, due musicisti perfettamente integrati, un’operazione già sperimentata a Salisburgo. “Guardami” canta lei mentre lui risponde suonando girato, e infine fuggono insieme. Ma come le pensa? È la chiave per capire quest’aria. L’affiatamento con la Bartoli è unico, e cambia di volta in volta: nel recitativo e aria “In quali eccessi o numi…Mi tradì quell’alma ingrata” da Don Giovanni la Bartoli si stacca dalle contemplazioni di Davide Penitente ai conflitti più umani pulsanti come un vulcano. In questa esemplare antologia di brani i contrasti sono estremi ma non estremizzati, dalle rarefazioni acustiche all’energia ritmica di suoni asciutti ma allo stesso tempo morbidi, che mostrano alcuni rapporti della musica di Mozart anche col passato barocco; la Marcia funebre massonica viene appesa in una dimensione onirica, dove il coro, aereo, fluttua nell’aria, con un’omogeneità – così come la sua energia – davvero stupefacente. Currentzis sfoggia una rassegna di ouverture, ognuna come un piccolo mondo, in cui colpiscono i tempi rapidi, la tensione che lega l’intero brano con un’unità spirituale incandescente, vissuto in tutta la sua dimensione teatrale, e ben evidenziando gli elementi cardinali dell’azione e i suoi confini, il senso di “preparazione” che avvolge queste esecuzioni come se qualcosa stesse per accadere immediatamente. Che non si tratta di musica strumentale “pura” è quanto emerge primariamente da queste letture. Così l’ouverture da La clemenza di Tito diventa teatro effettivo per l’enorme flessibilità dei tempi, e non significa che suonare anche come non è scritto non sia corretto. L’enfasi che dà Currentzis è spesso tesa a evidenziare quanto vi sia di meno ordinario nella musica, e che ha fatto la differenza nella storia. Facile dire che questo o quello sono capolavori, ma quanti riescono a dimostrarlo suonandolo?
“Ah! tempo più non v’è!” canta il Commendatore, e non c’è n’è proprio stato per le interviste, purtroppo, ma in camerino Currentzis si rivela molto sorridente, soddisfatto, pacato e cordiale, conversa amabilmente, disponibile a commentare passaggi, senza atteggiamenti da divo. E mi spiega, in due battute, che in forma di concerto la trilogia non può reggere con cantanti immobili e senza un minimo di regia, per cui ha elaborato una serie di movimenti scenici (non proprio una forma cosiddetta semi-staged) insieme a una sua collaboratrice, che lo vedono anche interagire con l’azione, e senza nemmeno aver provato più di tanto. Del resto lo spazio è ridotto ai minimi termini, tutto si muove lateralmente, ma le soluzioni escogitate sono non poche e per certi versi sorprendenti: alcuni costumi essenziali (il giardiniere, Ferrando e Giovanni travestiti con parrucche e occhiali da sole, il camice di Despina-medico affiancata da due dottori con tanto di generatore magnetico e occhiali luminosi, la divisa da notaio), qualche sedia, il Conte che irrompe con un trapano, Despina che entra parlando al cellulare su suoneria Nokia al fortepiano, Leporello che usa la partitura del maestro come il catalogo per la sua famosa aria, Zerlina che dirige il coro nuziale, Don Giovanni che zittisce il fortepiano, le comparse che in Don Giovanni distribuiscono in platea volantini con scritto “Viva la libertà” e dispiegano uno striscione, un tamburo a sorpresa in pieno recitativo preannuncia l’arrivo dei militari in Così fan tutte; giochi di luce portano in sala il buio in apertura del quarto atto nelle Nozze di Figaro, mentre l’incipit dell’Ouverture di Don Giovanni si muove tra blu e rossi. Tutto è agile e divertente, e con la musica di Mozart funziona benissimo, al punto da farci dubitare persino di tanti allestimenti triti e ritriti.
Ovazioni e standing ovations, battimani a tempo, qualcuno non smetterebbe mai di applaudire, pubblico letteralmente sconvolto in una travolgente festa della musica. Colpisce la capacità di comunicare le meraviglie della musica, il fil rouge creato con gli ascoltatori, un magnetismo singolare, estremamente difficile da realizzare nella direzione d’orchestra. Currentzis ha evidentemente quel “demone” che pochissimi possiedono, quando lo studio, la capacità di analisi e la fantasia con l’esperienza trovano una dimensione ideale in cui istinto e ragione ballano magicamente. Usciamo dalla sala totalmente frastornati ma felici, ubriacati da una tale elevata densità di contenuti in così pochi giorni. Quando potrà mai riaccadere? Forse oggi è Currentzis, con una semplicità disarmante, a rappresentare una nuova luce, e dopo Abbado, almeno a Lucerna, anche una nuova speranza per l’interpretazione del linguaggio sinfonico e operistico.
Mirko Schipilliti
Copyright: Peter Fischli / Lucerne Festival