Mozart e Ciaikovski dialogano alla GOG

MOZART Ouverture dal Don Giovanni; Concerto per pianoforte e orchestra in re minore K 466 CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 in si minore “Patetica” op. 74 Stuttgarter Philharmoniker, pianoforte e direttrice Lera Auerbach

Genova, Teatro Carlo Felice, 27 gennaio 2025

Anche per la stagione 2024/2025 la Giovine Orchestra Genovese ha saputo allestire un cartellone articolato e stimolante, spaziando dal programma Monteverdi/Legrenzi presentato a ottobre (protagonisti La Risonanza e Intende Voci Ensemble) alle pagine pianistiche di Luciano Berio suonate un paio di settimane fa da Andrea Lucchesini, e schierando di lunedì in lunedì una vera parata di grandi interpreti, molti dei quali vecchie conoscenze della GOG: da Grigory Sokolov ad András Schiff, da Mario Brunello a Leonidas Kavakos (in duo con Enrico Pace), dal Quartetto di Cremona ai Tallis Scholars. Il 27 gennaio (giorno del duecentosessantanovesimo compleanno di Mozart) la sala del Carlo Felice ha ospitato l’Orchestra filarmonica di Stoccarda, che ha festeggiato da poco il suo centenario e che in anni recenti è stata portata a un livello superiore da Dan Ettinger, direttore principale per quasi un decennio; in questa occasione invece gli Stuttgarter sono stati condotti da Lera Auerbach, poliedrica figura di pianista, direttrice d’orchestra, compositrice, poetessa e artista visuale, che ha proposto un programma suddiviso in due parti apparentemente distanti per forme e per epoca, ma in realtà legate da sottili linee di collegamento. Se è notoria, infatti, la connessione tra il Don Giovanni (la cui Ouverture apriva il concerto) e il Concerto per pianoforte in re minore di Mozart, per la consonanza espressiva e per l’utilizzo di una tonalità assai significativa per il salisburghese (che non per niente verrà poi ripresa per l’incompiuto Requiem), è altrettanto risaputo quanto Ciaikovski venerasse Mozart e in particolare proprio il Don Giovanni. E se la struttura formale della Sinfonia n. 6 è palesemente derivata da quella di un concerto, con l’aggiunta spiazzante del tetro “Adagio lamentoso” in conclusione, il K 466 spicca dal contesto dei concerti mozartiani precedenti per un maggiore sinfonismo nel dialogo tra solista e orchestra, oltre che per il contenuto ben più inquieto. Entrambe le opere inoltre possiedono un carattere intimamente “teatrale”, teso a coinvolgere e sorprendere, come è il caso, nella Sinfonia “Patetica”, dell’improvviso, brutale fortissimo con cui ha inizio la sezione di sviluppo del primo tempo; oppure, appunto, il funereo “Adagio” finale che segue inopinatamente l’esaltata fanfara con cui si conclude, in qualche modo canonicamente, il movimento precedente (e che inevitabilmente trae in inganno qualche spettatore, facendo scattare un precoce applauso). Con la sostanziale differenza che, mentre il concerto mozartiano sembra appianare radicalmente le sue inquietudini con una disarmante e scherzosa coda in Re maggiore, la Sinfonia n. 6 (percorsa da frammenti del Requiem ortodosso e battezzata dall’autore pochi giorni prima della morte improvvisa e controversa) viene suggellata da una sconcertante, amara dissolvenza.

Per la prima parte del concerto Lera Auerbach, facendo propria una soluzione talvolta adottata dai pianisti-direttori, ha fatto posizionare il pianoforte al centro del palcoscenico, dando le spalle al pubblico, in modo da dirigere l’orchestra, anche mentre suonava, da una posizione sicuramente più efficace: il risultato tuttavia è stato quello di soffocare un poco la sonorità dello strumento nel confronto con l’orchestra, rendendone anche meno nitido il fraseggio. La musicista ha inteso poi evidenziare ulteriormente il richiamo tra le due parti del programma formando anche nella sezione mozartiana una sorta di struttura in quattro movimenti: ha attaccato infatti direttamente il Concerto dopo l’Ouverture dal Don Giovanni, come se quest’ultima fosse una sorta di tempo introduttivo, e ha poi legato i movimenti l’uno di seguito all’altro, creando un unico flusso musicale. Se l’Ouverture è stata proposta con una visione fondamentalmente tradizionale, aliena dalle accentazioni esasperate oggi di moda, ma con un contrasto netto tra l’”Andante”, dal passo piuttosto lento, e un “Molto Allegro” assai incalzante, nel Concerto spiccava un approccio vivace ma senza eccessi romanticheggianti, caratterizzato anzi a tratti da uno spirito galante, quasi capriccioso, che si evidenziava soprattutto (ma non solo) nella “Romance”, speziata da un fraseggio incline allo staccato, ben contrastato con una sezione in sol minore invece decisa e scattante, se non propriamente demoniaca; anche il “Rondò”, nel quale l’orchestra tedesca ha dimostrato una bella compattezza, era innervato da uno spirito adeguatamente stürmisch, ma al contempo affabile. Da compositrice, la musicista di nascita russa e formazione statunitense e germanica ha proposto due cadenze di suo pugno, anziché quelle beethoveniane di tradizione: forse un po’ troppo lunghe rispetto agli usi dell’epoca, sono risultate comunque interessanti, screziate da qualche moderata arditezza e animate dagli stessi contrasti espressivi del Concerto. Il pubblico, numeroso ed educato, non ha faticato ad ottenere due bis solistici: il Preludio op. 32 n. 5 di Rachmaninov e la Sonata K 9 di Domenico Scarlatti.

Anche la Sinfonia n. 6 è stata percorsa con una sensibilità aliena ai sentimentalismi e con una certa propensione allo scatto nervoso: cantando il celeberrimo secondo tema del primo tempo con asciutta esaltazione, attaccando il valzer dell’”Allegro con grazia” con leggerezza, come un tenue raggio di speranza, venando di humour il tema di marcia del terzo tempo. Intimamente dolente, ma senza languori e indugi eccessivi, il conclusivo “Adagio lamentoso”, coronato da un epilogo sommesso ma rabbrividente, dove l’intera sezione dei violoncelli è apparsa degna di lode, così come, nei tempi più mossi, i precisissimi ottoni. Ma l’intera orchestra si è dimostrata una compagine equilibrata e di ottimo livello, mentre Lera Auerbach ha saputo dare alla fine una versione personale di questo capolavoro ciclotimico, avvincente e assieme inquietante.

Roberto Brusotti

Foto: Silvia Aresca

Data di pubblicazione: 30 Gennaio 2025

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